"L'entusiasmo per le feste fa di questi uomini dei folli, visto che manca loro l’occasione di essere eroi”, così ebbe a dire nel XVIII secolo il tedesco Johan Heinch Barteels. Chi vuole ritrovare ancora la sana e genuina ruralità siciliana basta arrampicarsi sull’altopiano sicano, avrà la sorpresa di trovare un mondo ancora da scoprire, che vive e resiste nelle pagine degli antichi viaggiatori stranieri. Gente semplice ed umile, cortese ed aperta; gente che si muove con il proprio tempo, con le proprie passioni e le abitudini di sempre; ognuno con il suo spazio, col suo nome e la sua dignità, dove tutti sono ed appartengono, dove ancora i comportamenti contraddistinguono e per questi si è amati ed apprezzati. Di questa scuola sociale, fattore cardine della realtà rurale sicana, si sono forgiati tanti suoi figli, uomini di cultura e non, che si contraddistinguono nei luoghi e nei diversi lavori mantenendo come bagaglio di vita quella nobile e caratteristica scuola tipica del mondo contadino.  Socialità rurale che vive e si mantiene, e che trova nelle tradizioni, miste di religiosità e folklore elementi indispensabili per far vivere nel tempo l’orgoglio di un popolo volutamente dimenticato tra le pagine della storia. Nel tremendo caos che l’ambiente naturale genera quotidianamente è necessario l’intervento continuo divino per attenuarlo o disciplinarlo. La fantasia popolare non manca allora di trovare la giusta soluzione. Sant’Antonio diventa il protettore degli armenti, San Rocco sana le malattie infettive, S. Lucia preserva gli occhi, S. Giuseppe preserva dalla buona morte, S. Biagio salvaguarda la gola, ecc. imprecazioni e gesti che manifestano il costante bisogno d’amore, lode ed esaltazione. S. Giuseppe è una delle figure integre nell’universo quotidiano dell’uomo sicano. Per secoli i contadini e gli artigiani si sono rivolti a Lui nel delirio nella disperazione, nelle difficoltà, nella solitudine silenziosa in cui li imprigionava la miseria, trovando conforto e forza di lottare e sopravvivere. A tale intrinseco rapporto è legato l’allestimento di l’artaru da parte dei devoti o ‘a tavulata che si differenzia dal precedente, per il fatto che le pietanze e i pani sono disposti sullo stesso piano, piatti che saranno consumati dai poveri chiamati santuzzi, o ‘i virigineddi i quali, interpretano i personaggi della sacra Famiglia. Antica familiarità contadina c’è nei riti della Settimana Santa dove la processione del Venerdì Santo assume un tono di gran devozione e commozione. A Bivona è ancora intonato il mistico lamento Populu mè. Palazzo Adriano “terra di contrasto tra Occidente ed Oriente” la Settimana Santa inizia il venerdì prima della domenica delle Palme; al Vespro, della medesima giornata, si ricorda la risurrezione di Lazzaro, mentre, durante la notte, è cantato per le vie della cittadina, il canto tradizionale albanese che ricorda lo straordinario miracolo di Gesù. Quando la processione raggiunge la parte estrema del paese dove si scorge il cimitero, il canto è rivolto ai morti, per annunziare a loro la resurrezione. Il Venerdì Santo rientra nella classica rappresentazione dei riti pasquali siciliani. La processione con l’urna di Cristo morto, attraversa le strade dei paesi seguito dalla statua della Madonna, con il cuore trafitto da una spada. La processione procede in silenzio per tutto il percorso in pieno raccoglimento e meditazione. In passato la tradizione prevedeva che i carrettieri dovevano imbrigliare i colliers per non fare tintinnare i sonagli, i pastori attaccavano i campanacci degli armenti, le donne non pulivano la casa e coprivano gli specchi. Il momento più caratteristico dei riti pasquali è la Domenica di Pasqua. S’infiamma Prizzi con l’esclusivo “ballu di li diavuli”, una rappresentazione riconducibile a molti secoli passati che si presta a diverse interpretazioni, la cui morale è indicata come il bene che sconfigge il male. I riti pasquali toccano la massima espressività a S. Biagio Platani il paese degli “archi di Pasqua”. Nonostante lo sforzo di chi si è cimentato a scrivere sull’argomento, non si riuscirà mai a raccontare la bellezza e la singolarità dell’espressività dell’arte che ogni anno le confraternite di Madunnara e di Signurara si contendono la competizione artistica. Uno spettacolo unico al mondo per la fantasia delle opere realizzate, ma soprattutto per la singolarità del materiale utilizzato. Canne, asparagi, alloro, olive, tronchi di agave, rosmarino, legumi, riso, pasta, chicchi di caffè e ogni ben di Dio prodotto copiosamente dalla natura. Mani valenti e fantasia sono gli elementi capaci di modellare vere opere d’arte la cui singolarità è esclusiva di questo straordinario paese. I rituali Pasquali prevedono anche “U ‘n’contru di Pasqua”, l’incontro di Cristo risorto e la Madonna con l’arcangelo Gabriele alla ricerca del Cristo Risorto, che avvistatolo, corre ad annunciare l’avvenuta resurrezione alla Madonna. Nei paesi che costeggiano il fiume Sosio: Verdura Burgio, Villafranca S. e Lucca Sicula al tradizionale ‘ncontru segue la caratteristica rigattiata, cioè la competizione tra i devoti di S. Giovanni e S. Michele, a Burgio S. Giovanni e S. Vito, configurata in una suntuosa parata della statua del santo contornata di suoni, luci balli, ecc. Le rigattiate sono manifestazioni sociali-religiose di gran rivalità tra i vari ceti, che sfociano in forti diaspore anche all’interno delle famiglie. L’appartenere ad una confraternita comporta, nella giornata della rigattiata, una rivalità anche tra marito e moglie. Spesso si arriva all’assurdo che la notte che precede la rigattiata le coppie che appartengono alla fazione opposta non dormono nello stesso letto; come avviene che mangino ognuno per conto proprio. Le due fazioni hanno, finanche, una propria sigla musicale che accompagna l’avanzare del Santo lungo il percorso rispettivamente: la sangiuvannara e la sanmmichilara. La pace in paese tra famiglie e confraternite arriva alla fine della rigattiata, quando i due santi entrano in chiesa. Al SS. Crocifisso, viene rivolta un’attenzione particolare; nell’occasione sfilano le statue di tutti i Santi portati a spalla dai loro devoti appartenenti ad un ceto o ad una categoria professionale. A Castronovo di S. l’Annunziata, massiccio bassorilievo è portato a spalla da cinquanta bambini; S. Giorgio e il drago sono portati dai borghesi; S. Pasquale dai pastori; S. Giuseppe dai falegnami. Alla vara è riservata la fatidica corsa per un breve tratto alla periferia del paese, uno sguardo del prezioso Crocifisso su tutta la campagna come auspicio di un’annata agraria ricca e prosperosa. La primavera sicana è festa di tataratà; quando il sole incomincia a far sentire il suo calore, il tataratà t’inchioda ad assistere ad uno spettacolo unico al mondo costituito da una sfilata di dame e cavalieri in costumi d’epoca, seguito da un aggrovigliamento di suoni di tamburo, urla, imprecazioni e scintillii di scimitarre, con abili giovanotti che si attorcigliano in configurazioni quasi a simulare un combattimento che è nello stesso tempo lotta, ballo, ma anche grande attaccamento ad una terra, difficile, ma facile d’amare. Il tutto per rievocare la grande Croce di legno trovata, pare la più antica in assoluto, esistente nel mondo cristiano.
Qualche chilometro troviamo il Gesù Nazareno, festa principale di S. Giovanni Gemini. La leggenda narra che il simulacro del Nazareno sia stato trasportato in paese su di un carro trainato dai buoi che ancora oggi, assumono una parte rilevante nella fase folkloristica della festa. E sempre al Crocifisso, Cammarata, la prima domenica di maggio dedica un cerimoniale immutato nel tempo “U Cricifissu di li tuvagli”. I fedeli offrono delle tovaglie, artisticamente ricamate, che vengono appese all’urna durante la processione, addobbata per l’occasione con zagara, gigli tra suoni e urla festosi. Feste, tradizioni, sagre che si susseguono una dietro l’altra con una cadenza e temporalità che, nonostante l’evoluzione dei tempi, continuano irrefrenabili il loro ciclo. Un patrimonio di grande ricchezza che solo Dio sa per quanto tempo ancora resisterà. Gli uomini hanno il potere di decretare o ritardare la loro fine. Morire sarebbe perdere un gran pezzo di storia di Sicilia una tradizione millenaria tramandata di padre in figlio, un’eredità pesante e difficile, ma per salvaguardarla basterebbe poco, andare a trovare questa temeraria gente nelle varie ricorrenze, sicuramente farà bene all’umore della popolazione, ma anche alle tasche degli agricoltori e degli artigiani che deliziosamente t’offriranno i loro prodotti tipici, mentre nel bar o nel ristorante dietro l’angolo potrai gustare i piatti che ancora sanno di sapori antichi, per dimostrare che: “L’entusiasmo per le feste fa di questi uomini dei folli, visto che manca loro l’occasione d’essere eroi”.