La seconda metà del XIX secolo fu caratterizzata nel comprensorio etneo da tutta una serie di eventi vulcanici e geodinamici che martoriarono le popolazioni ivi residenti. A partire dal 1865 una serie di terremoti cosiddetti "etnei" (1865, 1879, 1883, 1894 ecc.) e di eruzioni (1865, 1869, 1874, 1879, 1883, 1886, 1892 ecc.) tennero costantemente sul chi vive gli abitanti della zona etnea, abituati da secoli, purtroppo, ai movimenti sismici e alle eruzioni vulcaniche.Tra tutte le eruzioni, quella del maggio-giugno 1886 occupa un posto importante nella casistica eruttiva, per tutta una serie di motivi, tra i quali ricordiamo la sua localizzazione piuttosto bassa (da 1.500 a 1.300 m.) , la prospettata distruzione del centro di Nicolosi e le conseguenze che ne sarebbero derivate: la presenza di eminenti personalità religiose (Dusmet) , scientifiche (Silvestri) e politiche (i deputati Di San Giuliano, Carnazza Amari e Bonaiuto ed il De Felice Giuffrida) , il senso di profonda solidarietà delle cittadine vicine a Nicolosi, il pronto intervento delle autorità politiche e militari, l'interesse dei giornali del tempo e i danni provocati dalla corrente lavica. Tutto accadde a metà del mese di maggio. Una forte scossa di terremoto svegliò di notte la gente di quei luoghi, ma solamente con la luce del giorno si potè constatare direttamente cosa era successo in alto, sul vulcano. Il fianco sud della "Montagna" era nettamente squarciato e dalla enorme fenditura usciva un denso fumo misto a lapilli, cenere e scorie varie. Poco tempo dopo cominciò a fuoriuscire e scorrere una corrente di lava quasi sulla stessa scia di quella del 1883, inizialmente alla velocità di 50 m all'ora e visibilissima dalla città di Catania. Tutti sbigottirono nei dindorni, sia per le deflagrazioni continue, che per il terrore di nuove ed improvvise scosse sismiche e soprattutto per quel torrente infuocato che si avvicinava minaccioso verso il primo centro abitato che era quello di Nicolosi. Le autorità civili provinciali con a capo il prefetto Gustavo Millo, reduce dalle esperienze delle inondazioni nel Veneto, si recarono subito in questa cittadina per mettere in atto tutti i provvedimenti del caso, soprattutto nella tremenda prospettiva di sgombero forzato del paese. Parimenti il responsabile scientifico del R. Governo, il prof. G. Silvestri, informò il Ministro dell'Agricoltura Industria e Commercio, chiedendogli di poter utilizzare parte della dotazione finanziaria dell'osservatorio Geodinamico di cui era Direttore, di poter impiantare alcuni strumenti sismici nell'ufficio telegrafico di Nicolosi e nello stesso tempo di essere aiutato dal collega prof. Piccini, stante le sue precarie condizioni di salute. Ricevute per via telegrafica le relative autorizzazioni, il Silvestri, pur stando forzatamente dentro, riuscì a dare le relative disposizioni a livello operativo affinché l'eruzione in atto, da lui prevista in quel sito sin dal 1883, venisse studiata nelle sue varie fasi. Infatti bisognava preparare un dettagliato rapporto da inviare ai Ministeri interessati, oltre a quello della Pubblica Istruzione, onde ottenerne i vari contributi finanziari che invero quegli Enti fornivano con eccessiva Parsimonia e sempre dopo Parecchie richieste in merito. In assenza della stampa governativa, l'Accademia Gioenia di Catania, pur trovandosi in notevoli ristrettezze economiche, avrebbe provveduto a stampare e poi pubblicare il relativo studio sull'eruzione. La spesa per eliotipie, incisioni e diagrammi superava le 3.000 lire. L'eruzione vide la presenza di una grande personalità religiosa di quel periodo, ossia del Cardinale Dusmet. Infatti così come durante i terremoti del 1879 a Bongiardo, il prelato era accorso subito a Nicolosi e dintorni ed aveva subito contribuito con la parola e con l'esempio diretto ad aiutare e consolare tutti quei poveretti che, in preda allo sconforto per la lava avanzante, si preparavano a lasciare le loro case con tutte le masserizie possibili, come letti, armadi, stipiti, tegole, pavimenti ecc., su mezzi messi a disposizione specialmente dai Municipi di Acireale, Giarre, Riposto, Aci S. Antonio. Da Catania, su richiesta del prefetto, erano state portate pompe idrauliche per svuotare le numerose cisterne sulla linea del fuoco, poiché si temeva che la lava venendo a contatto con l'acqua potesse esplodere e quindi produrre gravi danni alle cose e soprattutto alle persone. Tuttavia a causa della mancanza di tempo non fu possibile svuotare tutte le cisterne e ne rimasero piene molte. Ciò fu una vera ricchezza nel dopo eruzione poiché ci fu grande penuria d'acqua nel paese. Per cercare di fermare la corrente lavica, larga 250 m e alta 15 e giunta, dopo aver coperto le antiche superfici laviche incolte del 1537, 1634 e 1766, in prossimità del paese ormai fatto sgomberare a forza dai militari presenti, il Dusmet fu pregato di condurre a Nicolosi il S. Velo di Sant'Agata. E cosi accadde. La Reliquia fu recata in solenne processione sino agli ''Altarelli'' antica edicola sacra che sorgeva lungo la direttiva della lava, poi immortalata da un pio sacerdote - pittore Tullio Allegra (Cfr. G. Zito. La cura pastorale a Catania neglé anni dell'episcopato Dusmet (1867-1894) . Acireale, 1987, p. 370). Subito non accadde niente ma l'indomani il braccio di lava più vicino al centro cominciò a rallentare lentamente sino a fermarsi a poche centinaia di metri dal paese su una ripida discesa. I credenti gridarono al miracolo, altri parlarono semplicemente di fine dell'eruzione. Nei giorni dell'emergenza si erano mosse pure le autorità politiche. I tre deputati catanesi Di San Giuliano, Carnazza-Amari e Bonaiuto, per ordine del Governo avevano seguito le varie fasi dell'eruzione, offrendo sussidi personali e coordinando gli aiuti che giungevano dai paesi vicini e da altre province d'Italia. Tutti i paese vicini (Pedara,Trecastagni, Belpasso, Santa Maria di Licodia, San Pietro Clarenza, San Giovanni La Punta, Mascalucia e tanti altri) , oltre alla città di Catania, contribuirono enormemente ad aiutare la popolazione di Nicolosi, mandandovi carretti, pane e cereali ed ospitandone in un secondo tempo la popolazione sfollata. Durante le P operazioni grande aiuto di sgombero furono di le squadre inviate dal De Felice Giuffrida, come già era accaduto in altre ca1amità simili (eruzione del 1879) . Alla fine dell'eruzione si contarono i danni. Essendosi aperta la bocca vulcanica ad un'altitudine piuttosto bassa, furono investiti terreni coltivati come frutteti ed anche vigneti, e notevoli furono le distruzioni di tratti di bosco ceduo. Se a queste distruzioni aggiungiamo tutti i danni provocati alle fertili campagne vicine dalle torme di curiosi intervenuti, più quelli volontari inferti alle abitazioni del paese (svel1amento di porte, finestre e stipiti, spostamento di tegole o del relativo legname) più le giornate lavorative perse, siamo in presenza di una notevole mole di danni, calcolati a L.750.000 dall'ing. Gentile. Per fortuna non si ebbero a contare vittime umane, come purtroppo era accaduto in altre eruzioni dell'Etna (1843). Il monticello che si formò sul luogo dell'apertura delle bocche fu detto ''Gemmellaro'', dalla sezione del Club Alpino di Catania, in onore della illustre famiglia di scienziati, soprattutto di Carlo, che tanto aveva dato allo studio dei fenomeni vulcanici etnei. L'eruzione, rientrante nella casistica dei parossismi vulcanici normali, fu  preceduta da una insolita emissione di vapori dal cratere centrale, seguita da una enorme colonna di fumo nero e denso a forma di pino, visibile da lunghissima distanza. Numerosi i movimenti sismici durante la fase eruttiva: se ne contarono parecchi, ed anche forti, nei centri di Giarre, Riposto, Zafferana, Fleri, Pedara, Biancavilla, Paternò e poi Randazzo e Linguaglossa, ossia quasi tutto il versante sud-orientale dell'Etna. A questi centri possiamo aggiungere il quartiere acese di Aciplatani, dove una forte scossa sismica produsse una lunghissima crepa nella strada che conduceva ad Acicatena ed oltre. Parimenti le finestre delle case vicine ebbero tutte i vetri rotti, mentre furono notati pavimenti con le mattonelle sollevate. Il Silvestri aveva previsto tale parossismo eruttivo, avendolo collegato con l'indebolimento del fianco meridionale dell'Etna avvenuto dopo l'eruzione del 1879. Alla luce degli eventi accaduti possiamo dire che le sue previsioni, basate su dati scientifici e sulla sua profonda conoscenza dell'attività del vulcano, si erano avverate in pieno. L'eruzione durò 21 giorni con fasi nel complesso regolari dal punto di vista eruttivo. Una eruzione quindi che per i suoi particolari aspetti, sia scientifici che antropici e sociali merita di essere ricordata e conosciuta ancor più dettagliatamente.