Il vicerè del tempo, Giovanni De Vega, succeduto al Gonzaga, fu impegnato a completare le fortificazioni militari avviate dal predecessore, avendo ricevuto per questi scopi dal Parlamento la somma di centomila scudi. La città di Lentini, che nel frattempo era stata distrutta dal terremoto del 1542, era in una posizione più a rischio per le incessanti scorrerie dei Turchi ed il De Vega ritenne assolutamente inopportuno procedere alla ristrutturazione della fortezza sul colle Tirone e scelse il colle Meta, dove avviò appunto la realizzazione di forti muraglie che fossero "assai vantaggiose per il riconcentramento di truppe di rinforzo alle marine di Catania, di Augusta e Siracusa". La città di Carlentini nacque dunque, come città fortezza su progetto dell’ingegnere militare Pietro di Prato. La lungimiranza del vicerè Giovanni De Vega si manifesta nella necessità di popolare il sito che altrimenti, passato il pericolo delle incursioni dei barbari, avrebbe finito con l’essere definitivamente abbandonato. Nei primi anni della sua esistenza la città di Carlentini fu abitata da quanti volevano beneficiare delle esenzioni e delle concessioni di suolo accordate con il decreto del 31 agosto 1551.Vi abitarono diversi operai, contadini provenienti da altre città vicine, i quali furono impiegati nella costruzione delle fortificazioni. Il 12 dicembre 1551 (ma la decisione finale, a seguito del ricorso presentato dai lentinesi, è del 10 aprile 1553) la fiera che in aprile si svolgeva tradizionalmente nella piazza di Lentini fu trasferita a Carlentini, dove il fitto delle logge fu impiegato per la costruzione della chiesa Madre. Diritti e privilegi delle piazzaforti demaniali vennero concessi a Carlentini nel 1559 dal vicerè Giovanni della Cerda che accorda, in pratica, alla città autonomia amministrativa ma non territoriale. Nel 1561 la città venne distrutta da un terribile incendio. Molti abitanti che avevano perduto la casa nelle fiamme minacciarono di andare via, ma la Regia Corte fu tempestiva nel dare concessione gratuita di case e nell’assegnare duecento onze per la prosecuzione dei lavori di costruzione della chiesa, senza la quale i cadaveri avrebbero dovuto essere seppelliti all’aperto. E’ il 15 ottobre del 1630 quando viene stipulato dal vicerè Francesco Fernandez de La Cueva, duca di Albunquerque, l’atto di vendita della città acquistata per 12.425 onze da Nicolò Placido Branciforte Lanza, conte di Raccuia e principe di Leonforte, il quale si impegnò a completare le fortezze entro dieci anni e prese possesso della città, senza incontrare alcuna resistenza da parte degli abitanti. Il Branciforte, che non si recò mai personalmente a Carlentini, inviò in città come amministratore Orazio Strozzi che giunse accompagnato da 24 soldati a cavallo. Nel 1633, con il beneplacito dello stesso Governo, il dottor Pietro Guastella ottenne il riscatto della città per la cifra di 12.425 onze da consegnare al Branciforte. E’ il 1693 anno del disastroso terremoto del 9 e 11 gen-naio che distrusse anche Carlentini; furono abbattute le chiese, l’orologio, le carceri, le torri e le abitazioni di quanti avevano dimora in città. La città venne ricostruita rispettando il preesistente impianto ortogonale. Il 15 gennaio del 1857 Carlentini ottenne, dopo averlo reclamato a lungo, il proprio territorio che fu staccato da quello di Lentini e le diede piena autonomia economica. Provenienti da Catania per arrivare al centro di Carlentini, bisogna attraversare la città di Lentini; la strada che collega i due paesi presenta una serie di curve. Giunti alle porte della città, dalla parte nord, si notano le cinquecentesche mura urbiche e i tre torrioni, anche se non sono in buono stato di conservazione. I torrioni non sono stati mai completati. Due di essi si trovano in corrispondenza di Piazza Malta, mentre un terzo è venuto alla luce dopo il terremoto del 1990. Le porte che consentivano l’ingresso nella città fortezza erano tre: la porta di Lentini, la porta di Agnone e la porta di Siracusa. La porta di Lentini si trovava in corrispondenza di quella che oggi è la via Nazionale, mentre la porta di Siracusa era a sud e quella di Agnone era situata a nord-est della città. Al 1578 risale la carta dell'impianto fortificato e urbano della città disegnata dall'ingenere Tiburzio Spannocchi. Tuttavia la pianta disegnata nel 1705 dall'ingegnere Giuseppe Formenti è una delle poche conosciute.

 

 

Le preziose decorazioni sono arricchite dallo stemma di Carlo V, posto in alto al centro dell’altare, con ai lati il leone rampante emblema della città. Da vedere il fonte battesimale, con affreschi del pittore Giuseppe Barone che ebbe come allievi Messina ed Emilio Greco. Merita particolare attenzione il quadro di S.Antonio Abate, certamente il dipinto più antico della chiesa.

Chiesa di San Sebastiano

La chiesa si erige tra la via dei Vespri e la via Cavour. Una pietra posta sul prospetto, porta la data del 1696 (anno in cui si presume fu ricostruita). Nella chiesa di San Sebastiano si riuniva il Consiglio Pubblico al suono della campana e ciò fino alla formazione del Consiglio Civico. L’edificio è stato ristrutturato e modificato nella sua semplicità: è ad una sola navata, l’altare di destra è dedicato a S.Biagio, quello di sinistra a S.Giuseppe giusto.

Chiesa del Carmine

L’origine storica della chiesa è controversa e la presenza di vari ordini monastici fa presupporre che sia stata prima abitata dai padri riformati e poi dalla comunità dei Francescani e infine dai Carmelitani. Infatti possiamo vedere che nella parte alta del portone risalente al 1550 vi sono due bassorilievi raffiguranti l’immagine di S.Francesco e di Santa Chiara. Prima che la chiesa prendesse il nome del Carmine era dedicata a Santa Maria degli Angeli. La chiesa è stata riaperta al culto solo nel 1946 con la presenza dei padri carmelitani. Appena entrati si può ammirare un crocifisso di pregevole fattura e l’organo a canne del 1742 che prima era sistemato sopra l’altare maggiore della chiesa madre.

Chiesa Cuore Immacolato di Maria e S.Anna

La chiesa è di recente costruzione e solo nel 1974 venne completata. L’edificio è a navata unica, con cappella del SS Sacramento a destra e navata penitenziale a sinistra. All’interno la chiesa è ricca di decorazioni di Luciano Bartoli eseguite nel 1982. Vicino la chiesa esiste una casa museo con un’esposizione di reperti paleontologici. La parte più alta della città è rappresentata dalla grande piazza Diaz con l’antistante Palazzo Comunale, costruito agli inizi dell’800. Nel 1876 Carmelo Scavonetto, sindaco, fece abbellire le stanze dell’edificio e lo ampliò. Sul prospetto esterno, vi è raffigurato il leone rampante sormontato dalla corona, simbolo della città. Nella parte sud-ovest della città è ubicata l’antica Leontinoi, fondata nel 729 a.C. da una colonia di calcidesi di Naxos guidati da Teocle, sul colle Metapiccola e sul colle San Mauro. Gli scavi esistenti comprendono i resti della porta sud della città cioè quella a "tenaglia" e il villaggio preistorico di Metapiccola scoperto solo nel 1954/55 dal professor Giovanni Rizza, dell’Istituto di Archeologia di Catania. Si tratta di capanne preistoriche di diversa dimensione e a perimetro rettangolare, il fondo è incassato nella roccia dove venivano scavate delle buche per reggere i pali che sostenevano i tetti delle capanne. Questo fu probabilmente il sito di Xouthia, una città indigena fondata da popolazioni provenienti da Lipari a cui fa riferimento nel I secolo lo storico Diodoro Siculo di Agira.

 

 

La quarta domenica di agosto di ogni anno la città di Carlentini festeggia la propria patrona Santa Lucia, vergine e martire siracusana. La devozione verso questa Santa ha radici remote. Sebastiano Baudo nel suo volume “La città Carleontina” fa notare come già tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII a Carlentini,  “.... in faccia al piano della fiera, quartiere della matrice una piccola  chiesa era intitolata ai Santi Marco, Antonio e Lucia; il culto che con più devozione era esercitato in detta chiesa era rivolto a Santa Lucia, il cui simulacro era posto in una cappella, custodito dai rettori, che lo esponevano alla venerazione del popolo il giorno 13 dicembre e lo conducevano in giro per la città il secondo giorno di Pasqua di Resurrezione”. I carlentinesi,  dopo il 15 marzo del 1621, secondo l’antica usanza di mettere sotto la speciale protezione di un santo la città, scelsero la vergine e martire siracusana come “patrona protettrice avvocata della città” ed in quel giorno, appunto, ne fecero la proclamazione ufficiale chiedendo poi, il 23 dello stesso mese di marzo, l’approvazione al vescovo Paolo Faraone, il quale accettò, lodò e confermò l’elezione.  La scelta della martire Lucia, naturalmente non fu casuale ma ebbe origine oltre che dalla permanenza del culto alla vergine del ‘600 nel pieno della controriforma, anche dal recupero di un elemento agiografico.

Un’antichissima tradizione, mantenuta viva dai lentinesi, vuole, infatti  il colle Meta in cui sorge Carlentini, tappa del  viaggio di Lucia da Siracusa verso Catania per implorare sulla tomba della martire Sant’Agata la guarigione della madre Eutichia. E fino a qualche tempo fa si prestava riguardo, a Carlentini,  ad un vecchio albero di ulivo selvatico, sito nell’attuale via Santa Lucia, comunemente chiamato “u’ peri a liva di Santa Lucia”, che secondo la leggenda avrebbe fatto da riparo alla fanciulla Lucia e alla madre in una breve sosta del viaggio. Dopo il disastroso terremoto del 1693 le celebrazioni in onore di Santa Lucia nel giorno di Pasqua si rivelarono inopportune ed il 3 aprile del 1842 furono spostate alla Pentecoste. Ma dopo appena trent’anni, cioè nel 1872, la festa fu ulteriormente spostata alla quarta domenica di agosto perchè “all’epoca in cui veniva celebrata, si legge nella deliberazione consiliare di quell’anno, coincidevano i lavori delle messi e quindi non veniva goduta da tutti i cittadini”.

La tradizione è rimasta immutata da allora tranne che per la corsa dei cavalli, il passaggio delle donne mascherate, la vendita del frumento all’incanto che sono solo ricordi. Tradizioni che difficilmente potranno essere riprese. La devozione e la testimonianza di fede e di coraggio di Lucia  mai potranno invece essere cancellate. Sin dal 3 aprile del 1842, giorno in cui con una deliberazione decurionale si decise di spostare i festeggiamenti in onore della patrona dalla Pasqua alla Pentecoste, i carlentinesi festeggiano San Giuseppe il lunedì dell’Angelo. Si tratta di una ricorrenza tra le più significative e caratteristiche nel panorama delle tradizioni locali. Un giovane una fanciulla e un bambino rappresentano la Sacra Famiglia e, dopo la cerimonia della vestizione (che avviene nella casa della famigllia Tribulato in Via Mazzini) e la celebrazione della Santa Messa nella Chiesa del Carmine, percorrono in processione le vie principali del paese. Un tempo, il corteo doveva passare davanti le abitazioni dei  cittadini più facoltosi  che usavano donare alla Sacra Famiglia parte del loro raccolto di frumento. La processione di San Giuseppe è seguita dalla sfilata dei caratteristici carretti siciliani, tutti finemente bardati. Nel pomeriggio si effettua la vendita all’incanto dei doni offerti al Santo, tra cui le caratteristiche forme di pane, dall’alto di un antico e pregevole palco in legno. Durante la Settimana Santa, un rito mistico e suggestivo viene svolto il Venerdì: “a scisa a cruci”. Secondo una consolidata tradizione, nella Chiesa Madre, otto persone vestite di bianco e con il capo semicoperto da un cappuccio, depongono dalla croce il corpo del Cristo morto.