STORIA E DINTORNI
L'Italia spezzata
già 10.000 anni fa

 di Francesco Musumeci

 

L’unità della nostra penisola è fatta di tante divisioni che sembrano risalire addirittura alla preistoria. Ritrovamenti sulle Prealpi venete sembrano indicare che noi, Homo sapiens sapiens, vedemmo l'Italia per la prima volta circa 40.000 anni fa, e lentamente vi penetrammo con un processo di colonizzazione che durò 10-15.000 anni. Faceva freddo su tutto il territorio: in Liguria viveva ancora la renna. L'Italia era un pathwork di habitat periglaciale, di steppa e di macchia mediterranea dove si cacciavano la marmotta e il capriolo, l'alce e il cinghiale. Poi il riscaldamento globale del pianeta, ponendo fine alle glaciazioni, determinò la svolta. E mentre gli italiani del nord continuavamo a vivere di caccia e raccolta, raffinando ulteriormente le tecniche di sfruttamento del territorio, al sud cominciò a fare caldo. I fiumi non erano più così ricchi e la cacciagione cominciò a scarseggiare: arrivarono nuove idee dal Medio Oriente e persone capaci di coltivare la terra, di tenere le bestie nei recinti e farle riprodurre in cattività. Non è possibile ricostruire con esattezza quali ondate migratorie spazzarono la penisola, durante la transizione neolitica, ma lentamente cambiò anche la fisionomia degli italiani. Al tipo fisico del cranio di Cro Magnon degli uomini del Paleolitico si sovrappose alla fine del Mesolitico, 8.000-6.000 anni avanti Cristo, un tipo fisico con la testa più arrotondata e il naso più largo. Al nord abitavano cacciatori nomadi ed esperti raccoglitori di piante, bacche e nocciole, in contatto con l’Europa centro-orientale. Poco avvezzi agli agi della stanzialità, parlavano l'antico nostratico e possedevano tecniche di scheggiamento e microlitizzazione di origine francese. In Puglia, nel Lazio, nelle Marche, in Sicilia e in Sardegna si coltivavano, invece, grano, orzo e si allevavano pecore e maiali. E le differenti economie portarono con sé una diversa visione del mondo. Anche quando conobbero l'agricoltura (Vmillennio a.C.) i popoli del Nord non abbandonarono mai la vocazione originaria dell'economia diversificata.
Villaggi neolitici vicino ai laghi offrivano acqua e pesca; in pianura si mantenevano estensioni di vegetali selvatici come le nocciole da raccogliere; e i ritrovamenti di alta montagna, come la celebre mummia trovata sul ghiacciaio del Similaun in Alto Adige nel 1991, incicano come nel III millennio a.C. ci fossero ancora cacciatori che si spingevano fin lassù in cerca di corvi e stambecchi. Nell'Italia meridionale. invece, 1'agricoltura e l'allevamento erano pressoché l'unica fonte di sostentamento. Un’agricoltura praticata intensivamente fino al quasi totale depauperamento del territorio. Erano popoli senz’altro più raffinati, conoscevano l'aratro, la ruota e la lana, coltivavano l'olio, forgiavano vasi. Dai Micenei che sbarcarono sulle loro coste mutuarono una cultura eroica e impararono a fare la guerra ma, contemporaneamente, scoprirono anche che esistevano differenze tra gli uomini. La stratificazione sociale si diffuse in Italia dal sud con la creazione della classe degli artigiani. La rivoluzione dei metalli arrivò in Italia all'inizio del III millennio a.C.. Al Nord, rame, bronzo, e ferro furono integrati nell'economia produttiva; al Sud, per un lungo periodo, furono impiegati per la realizzazione di oggetti con funzione simbolica e di culto: con effetti sociali più che economici.
Nell'Emilia occidentale, grazie a una sviluppata carpenteria, nasceva una variazione dell'insediamento a palafitte, assolutamente unica su tutto il territorio europeo: le terramare, a cui corrispondeva una precisa divisione in appezzamenti di un ampio territorio da coltivare. Le prove non ci sono, ma tutto lascia supporre che già 1.500 anni a.C. gli emiliani avessero inventato la proprietà privata della terra.
Certa è la politica di cooperazione tra i villaggi nelle complicate fasi di costruzione e di gestione delle terremare. Queste cooperative ante litteram nacquero soltanto lì furono spazzate via dal depauperamento del suolo.
L’estremo impoverimento dei terreni fu anche la fonte principale delle disgrazie del Mezzogiorno italiano che declinò lentamente fino a una vera e propria recessione nel XII secolo a.C.
La recessione dalla quale il Sud d’Italia non si sollevò più, contrassegnata dalla colonizzazione greca e fenicia. In questi due millenni circa di lotta all'inaridimento e al supersfruttamento dei terreni si delinearono una terza e quarta Italia. Al centro della penisola, laziali, marchigiani e abruzzesi crearono tu l’economia mista legata anche alla variazione, dell'ambiente, in cui la pastorizia assunse un ruolo crescente e centrale. La Toscana e la Liguria stabilirono un asse privilegiato con la Francia meridionale e la Spagna, sviluppando un fiorente commercio via mare che incrociava 1'Egeo e il Mediterraneo.
Questi popoli, i romani, qualche secolo dopo, li avrebbero chiamati etruschi. Ma questa è già storia.

Bibliografia essenziale: A. Gnidi,ll. Pipcrno (a cura di) L Italia preistorica - Laterza 1993.