BENI CULTURALI
 Architetti contro Pirati
 di Giuseppina Bosco


La presenza di torri costiere è stata sempre vista come esigenza difensiva al fine di segnalare con rapidità per mezzo di vari segnali, ogni avviso di pericolo proveniente dal mare. Si è però creduto, più che altro come "convinzione popolare", che si trattasse di torri saracene. Il riferimento ai mitici "Saraceni" deriva sempre dalla voce popolare che attribuisce alla "pagana stirpe" quasi tutto quello che di antico esiste in Sicilia.

Queste costruzioni dovrebbero, semmai, indicare che non si tratta di opera di versatili Saraceni, bensì di coloro che da essi o dalla pirateria musulmana, avevano buone ragioni per guardarsi.

Bisogna, altresì, affermare che l'uso di trasmettere notizie o diramare avvisi di pericolo mediante segnali convenzionali di "fumo" o di "fuoco", risale ad epoca antichissima, per lo più greca o romana. Nel VII secolo, durante la dominazione bizantina si inizia a profilare l'esigenza di un più efficace sistema di difesa per i frequenti attacchi musulmani. Gli Arabi, impossessatisi dell'isola tra il IX e l' XI secolo, crearono a loro volta un migliore sistema di avvistamento.

Infatti l'Amari, nella "Storia dei Mussulmani in Sicilia" riporta la notizia che il califfo Almaizz nel 966 - 967. dopo la battaglia di Rametta. ordinò «l'incastellamento dell'isola e che ogni distretto avesse una città fortificata». Bizantini, Arabi, Normanni etc. avrebbero avuto dunque il bisogno di ricorrere a queste costruzioni sebbene non ci è dato di riscontrarlo con certezza nei manufatti ancor oggi esistenti fatta eccezione per Torre Città della, vicino Noto, di cui si può notare l'impianto a carattere di "basilichetta" bizantineggiante, con copertura della volta a cupola ribassata in conci grossi rozzamente squadrati, d'influsso islamico; e la torre della Roccella, la cui preesistenza è attestata dai resti di "silos" e di altri corpi avanzati verso mare tra cui un locale circolare sormontato da cupola a volta emisferica. in parte crollata., ed altri con copertura a crociera nervata.

Nell'età federiciana l'esistenza di torri isolate poste a guardia dei litorali siciliani è attestata da diverse fonti tra cui alcune evidenze monumentali si riscontrano sempre nella Torre di Roccella. Queste costruzioni a nulla valsero riguardo al problema della difesa dell'isola, se si pensa che le truppe di Carlo D'Angiò le quali giunsero una volta tanto non dal mare, ma dalla terraferma italiana, non furono segnalate. Quella angioina fu l'ultima grande conquista cominciata dal continente, difatti pochi mesi dopo lo scoppio della guerra del Vespro, l' armata aragonese giungerà dal mare come dal mare verranno le spedizioni che i sovrani angioini di Napoli organizzeranno contro l'isola nel tentativo di conquistarla nuovamente. Avvenimenti questi che riproposero, quindi, con drammatica urgenza, la costituzione di un servizio di vigilanza costiera più capillare. La fine della guerra del Vespro non significò, per le popolazioni costiere della Sicilia, la fine delle scorrerie provenienti dal mare poiché, verso la metà dei secolo XIV si profilò la minaccia delle incursioni nord-africane. Le prime avvisaglie di invasioni musulmane giunsero verso il 1360 dalla Tunisia afside e per scongiurare tali minacce vennero costruite alcune torri costiere che si aggiunsero a quelle precedenti di età sveva. Negli ultimi anni dei '400 e nei primi del '500 la situazione peggiorò in quanto, accanto all'endemica minaccia dei predoni saraceni, si, andò prospettando l'incubo delle invasioni turche. Orde di Turchi Ottomani, difatti, nel luglio del 1522, giunsero con cinque imbarcazioni alla marina di Aci (Catania) "da dove partirono trascinando seco una trentina di sventurati".

La situazione precipitò dopo la caduta della piazzaforte di Rodi, nel 1522, poiché fu aperta ai Turchi la rotta del Mediterraneo centrale e quindi della Sicilia. I Vicerè che si susseguirono nel governo dell'isola (Gonzaga e De Vega) trovarono un sistema difensivo molto precario: le città siciliane erano protette soltanto da castelli e da cinte murarie e non avrebbero resistito a lungo ai numerosi assalti turchi. Che la situazione fosse grave ce lo testimonia il Musso (1760) nel suo "Codice dè priviligi della splendidissima di Termini Imerese" il quale riporta una petizione del 1534 dei Giurati della Città di Termini che si lamentavano delle razzie " de la armata de lo turco ( ... ) per quattro e più volte (...) ".

Fu solo nel 1549 durante il viceregnato dei De Vega, come ci informa il Villabianca. che "fu dato corso ad un primo piano di costruzione di una decina di torri di avvistamento, dislocate lungo tutto il litorale della Sicilia". Esse sorsero in breve tempo e furono ultimate tra "il 1553 e il 1554"; i lavori furono eseguiti dal Ferramolino "l'insigne militare che sotto i Vicerè precedenti, Pignatella e Gonzaga, era stato incaricato di provvedere alle fortificazioni di Augusta. Siracusa, Messina, Milazzo, Palermo e Trapani" con lui Domenico Giunti, arrivato nell'isola nel 1544.

Sempre dal Villabianca apprendiamo che sulla costiera palermitana fu iniziata la costruzione di una nuova torre alla punta dei Molinazzo (Cinisi). Si tratta di una massiccia fabbrica a pianta quadrata che differenziandosi dalle torri cilindriche innalzate nel XV secolo anticipa le tipologie architettoniche fissate molti anni dopo dall'ingegnere fiorentino Camillo Camilliani.

Anche dopo la battaglia di Lepanto del 1571, che determinò la sconfitta del l'armata turca e quindi la perdita dei loro controllo sul Mediterraneo, le vicende belliche non tardarono a susseguirsi. Infatti non cessò il problema della pirateria, che pur essendo "una guerra minore" era pur sempre una sorta di flagello cronico e addirittura, un nemico più sfuggente e pericoloso. Si ripropose, quindi, ancora una volta e con più urgenza, il problema della vigilanza.

Il Villabianca ci informa che per adottare misure di più ampio respiro il "governo formulò un progetto per la realizzazione di una cintura di torri a caposaldo dell'isola" e nella "seduta del Parlamento del 9 aprile 1579 venne deliberato "che si abbino a fare effettivamente tutte le torri necessarie all'intorno delle marine di tutto il regno e accomodare quelle, le quali, essendo in parte comode per questo servigio avessero bisogno di riparazione e racconciamento".

Il vicerè Colonna incaricò allora l'illustre architetto Spannocchi di fare una "attenta ricognizione della capacità di difesa dell'Isola dopo una sua visita delle marine della Sicilia da Messina a Messina muovendo in senso orario". Lo Spannocchi, in seguito a tale visita, mise a punto un progetto difensivo fornito da "ventitré torri da costruire, sessantadue torri esistenti ed in parte da rimediarsi e ventiquattro castelli reali esistenti lungo la costa e nelle città marinare che avrebbero costituito un sistema segnaletico chiuso" volendo rendere la costa inaccessibile ad assalti pirateschi.

L'intento era quello di garantire la produttività della costa e di svilupparla secondo condizioni per la sua abitabilità poiché l'esigenza espressa in quel periodo dall'impero spagnolo (di cui la Sicilia faceva parte) era di sfruttare I ' isola per le capacità produttive delle sue terre e per la sua posizione strategica nel Mediterraneo quale baluardo difensivo del mondo cristiano contro il nemico turco.

In ciò consiste il carattere innovativo del progetto di riferimento ai manufatti (le singole torri) considerate come controllo fisico e logistico delle sedi e delle attività che si svolgono nell'isola. Se nel basso Medioevo l'esigenza di fortificazione della città era dettata dal bisogno di una dimensione più abitabile proprio perché garantiva la tranquillità dei vivere così la fortificazione di una costa, secondo la concezione dell'architetto senese non è "contro" bensì crea le condizioni perché il territorio possa essere abitato.

La città fortificata medievale si poneva dunque, come coesistenza di "civile" e "militare"; la torre baglio, la torre tonnara sono, invece, espressioni della compresenza del produttivo e del militare senza che la realtà fisica preesistente subisca forme di militarizzazione. L'architetto Spannocchi anticipa così, in Sicilia, soluzioni pianificatorie che si delineeranno negli Stati europei nel corso dei '600 e che avranno compiutezza progettuale nell'opera di Sebastian Le Preste marchese di Vauban, il quale adottò il metodo dei fronti bastionati con torri ai salienti nella cinta interna della fortificazione.

La torre tipo, secondo il progetto dello Spannocchi doveva rispettare alcuni fattori organizzativi fra cui i più importanti erano: reperibilità di materiali di costruzione, vicinanza dei luoghi produttivi e commerciali, l'eminenza dei sito per una fattibile corrispondenza delle segnalazioni con le altre torri contigue al fine di consentire un rapporto diretto con le cale sottostanti da difendere. Inoltre fu incaricato dalla deputazione dei regno l'ingegnere fiorentino Camillo Camilliani affinché facesse una ricognizione delle torri d'avviso in Sicilia sulle orme dell'architetto Spannocchi muovendo, questa volta, da Palermo in senso contrario.

Dalla relazione dei Camilliani, secondo quanto ci riferisce il Villabianca, emerge che la scelta dei sito sul quale "imbrasare" le costruzioni era determinata dalla possibilità di dominare un ampio spazio di mare e di assicurare il continuum delle segnalazioni fra i vari organismi e fra questi e le città. Le torri, secondo quanto ci testimonia il Mongitore siano disposte "intorno al litorale dell'isola con proporzionata distanza, in maniera che una guardi l'altra onde nell'accostarsi navi nemiche o amiche, le persone destinate alla custodia di queste torri siano in obbligo la notte di avvisare la città vicina con tanti fuochi quanti sono le navi vedute nel giorno".

A differenza delle torri preesistenti che erano a sezione circolare, i nuovi manufatti ebbero, sempre secondo quanto ci dice il Villabianca, pianta quadrangolare; erano costituite di due piani intercomunicanti per mezzo di una scaletta che passava attraverso un foro, si componevano di due ambienti con volta a botte nella zona basamentale destinati a cisterne e a deposito delle polveri e della legna e di due/tre vani pure con volta a botte nel piano superiore adibite ad alloggiamento dei serventi.