Belpasso

Da Malpasso a Belpasso

Economìa cultura spettacolo

Itinerario per Belpasso e dintorni

Nícolosi porta dell'Etna di Carlo Rapicavoli

Nícolosi nella storia di Carlo Rapicavoli

Ragalna "Terrazza dell'Etna"

Il Paese di Martoglio

La Patrona S. Lucia

Cosa visitare

 

Belpasso

I tre paesi di cui ci occupiamo in questo numero appartengono al versante sud dell'Etna e la loro storia si interseca in maniera totale con la storia del vulcano. Per secoli le eruzioni ed i terremoti ne hanno modificato i siti, l'urbanistica, le attività produttive. Il rapporto con la "Montagna" è stato sempre di tipo edipico: amore e odio. Ma l'Etna ha costituito sempre un grande padre autoritario contro il quale è possibile rivoltarsi, mai rinnegare. Egli infatti rappresenta l'identità delle genti che vivono attorno alle sue pendici sempre determinatissime a convivere con lui in una continua costruzione e ricostruzione delle loro case e le loro chiese. Oggi i territori di questi comuni sono in gran parte inseriti nel parco Regionale dell'Etna istituito il 17 marzo 1987 e, sebbene con ritardo, ha avuto inizio un'opera di salvaguardia e di tutela per quello che è il più importante ambiente naturale dell'Isola. Anche il rapporto con il parco è stato d'amore l'odio, per i vincoli e le limitazioni che questo comportava sui territori comunali. Oggi il parco è una realtà orinai accettata che ha cominciato ad attivare pur nella farragine dei poteri e delle burocrazie, l'insieme delle sue funzioni e rappresenta il futuro turistico di questi paesi. Il processo si è avviato con lentezza e molto resta ancora da fare rispetto alle potenzialità offerte da un Ente così importante. Vogliamo soltanto ricordare tutte le opportunità che un ambiente protetto e risanato può offrire ad iniziative imprenditoriali di tipo nuovo compatibili con le finalità dell'area protetta, pensiamo all'agricoltura biologica ed all'agroturismo come occasioni di sviluppo e di occupazione non indifferenti e non più trascurabili nella problematica situazione attuale. Attualmente questi comuni godono già di una condizione turistica privilegiata (in particolare Nicolosi che è al primo posto della graduatoria dei comuni turistici della provincia di Catania) e solo attraverso politiche intelligentemente mirate in questo settore possono garantirsi una prospettiva di ulteriore sviluppo.

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Da Malpasso a Belpasso

Un paese ricostruito dopo il 1693 a forma di scacchiera le cui vie si chiamano "retta levante" "retta ponente" , "prìma traversa".


Situata sul versante meridionale dell'Etna, a metri 551 sul livello del mare, 17 chilometri da Catania, Belpasso si estende lungo un territorio di kmq 164,49 dal cratere dell'Etna alla Piana di Catania. Gli abitanti (18.000) risiedono in prevalenza nel centro urbano, mentre densità inferiore presentano le frazioni di Piano Tavola, Valcorrente, Villaggio del Pino, Palazzolo ecc. L'evoluzione storica di questa cittadina va di pari passo con quella dell'Etna, vulcano d'incantevole visione e dagli umori incerti. E senz'altro questi ultimi hanno storicamente condizionato lo sviluppo economico, politico e sociale, oltre che, naturalmente, urbanistico e morfologico della città di Belpasso. Il nucleo da cui sorgerà, dopo successive fasi di espansione territoriale, l'odierna Belpasso, consisteva di una pletora di piccole comunità agricole, prive di reti di collegamento viario e per nulla coese sul piano sociale. Non esisteva, insomma, fra i vari agglomerati una comune identità e ancor meno il senso di appartenenza ad un determinato gruppo. A partire dal sec. XVI, i casali di a Paternò invadevano il territorio in cui erano ubicati questi casali, cioè i luoghi ad occidente e, in particolare, a nord del e Monte "Pileri" (al confine tra le terre di Catania e quelle di Paternò). La dipendenza assoluta dai signori del Feudo di Paternò fu pressoché inevitabile per quei piccoli agglomerati rurali. Al punto che quella dipendenza condusse, col tempo, a manifestazioni di prevaricazione e di strapotere da parte di quella potestà giurisdizionale di Paternò. Al disagio derivante dallo strapotere di Paternò se ne aggiunse ben presto un altro per gli abitanti del bosco. Si trattò del disagio derivante da un evento naturale calamitoso, al cui verificarsi è pur sempre condizionata la vívibilità di quei luoghi, allora come oggi: l'eruzione dell'Etna, a far data 12 Maggio 1537. La lava sotterrò alcuni casali del bosco. Altri li mutilò irrimediabilmente e fra questi: Li Billei, Li Nicolosi, S. Antonio e Mompilieri. All'indomani dell'eruzione, il problema della ricostruzione cominciò ad incalzare. Dopo alterne vicende segnate dalla resistenza dei signori di Paternò ad accettare la richiesta di indipendenza dei propri vassalli, si dovette attendere ancora un secolo prima che si potesse giungere alla creazione di un nuovo centro. Il 26 aprile 1636 si giunse alla decisione di dividere ufficialmente il territorio assegnando alla "Università di Malpasso" una parte del territorio per una giurisdizione autonoma. Ma erano appena trascorsi trent'anni dalla lotta per l'indipendenza dallo strapotere degli ufficiali di Paternò, allorché gli abitanti di Malpasso furono ancora provati da un'altra sciagura: il terremoto. Il 7 marzo 1669 il fuoco dell'Etna seminava il panico tra quella povera gente già duramente provata, scuotendo le case fin dalle fondamenta. L'eruzione dell'undici marzo fu fatale: ogni cosa si dissolse come neve al vento. L'unica speranza per gli abitanti di Malpasso rimaneva il tentativo di ricostruire altrove. E la ricostruzione fu avviata nello stesso anno nella contrada "Carmena", vicino Valcorrente a 6 km a sud-ovest del luogo sepolto dalla lava. Il nuovo centro fu denominato Fenicia Moncada, in ossequio al principe di Paternò che tanto si era prodigato per il benessere dei suoi vassalli. Ma un gruppo di famiglie della vecchia Malpasso, derogando alle disposizione del decreto, preferì non trasferirsi a Fenicia Moncada. Queste famiglie, provenienti dal quartiere La Guardia, chiesero ed ottennero di rimanere nel feudo di Borrello. Così, in accordo con le autorità di Fenicia Moncada, si insedìarono a un chilometro ad ovest della Guardia e crearono il sito di Stella Aragona. I rapporti tra Fenicia Moncada ed il sito di Stella Aragona furono regolamentati con l'atto pubblico redatto il 24 aprile 1687. Ma l'indomita Montagna ricomincia a sputare fuoco e fiamme: era la notte del 9 gennaio 1693 allorché la terra tremò ancora una volta seminando panico soprattutto fra gli abitanti di Fenicia Moncada. La fase di ricostruzione fu avviata in località vicina al distrutto Malpasso, avvicinandosi agli abitanti di Stella Aragona nel fùedo di Borrello. Il nuovo centro venne così costituito in località " San Nicola" a nord del Piano Garofalo, dando ad esso il nuovo nome di Belpasso, sempre terra di pertinenza del Duca di Montalto. L'incarico di predisporre l'assetto urbanistico di Belpasso venne dato a Mastro Michele Cazzetta. Nel 1693 iniziarono i lavori rispettando il famoso tracciato a scacchiera predisposto dal Cazzetta, fino ad una certa altezza del territorio, ricollegandosi poi, tramite la via Vittorio Emanuele III, con il quartiere Stella Aragona. Da quell'anno l'espansione dei territorio di Belpasso ha seguito sempre lo stesso tracciato sebbene diverse altre volte il paese sia stato costretto a confrontarsi con la minaccia delle colate laviche: nel 1886, nel 1910, nel 1983 e
nel 1985.

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Economìa cultura spettacolo

L'agricoltura e più recentemente un artigianato díventato píccola índustria (nella zona di Piano Tavola) le principali attività produttive.

Belpasso è uno fra i pochi paesi agricoli della provincia catanese in cui il fenomeno dell'emigrazione ha avuto un carattere molto contenuto e, in tempi recenti, di scarsa rilevanza. Le emigrazioni statisticamente si ebbero, all'inizio del XX secolo, verso l'America latina, con prevalente localizzazione in Argentina, nella quale, anche dopo il secondo conflitto mondiale, i belpassesi andarono a cercare lavoro. L'esodo verso il nord Italia, Germania, Francia, ecc. è stato alquanto irrilevante. Si è invece, riscontrato, un processo di immigrazione nei confronti di Belpasso. Tale processo, in forme più modeste, non è estraneo ad altri centri che gravitano intorno Catania, nella quale la crisi degli alloggi spiega il riflusso verso di essi. Tale riflusso viene incrementato anche da coloro che, avendone la possibilità, possono scegliersi un luogo di residenza più confacente alle loro esigenze. Ma l'immigrazione a Belpasso si spiega in modo diverso, e, cioè, in relazione alla creazione, negli anni '60, della zona industriale a Piano Tavola cioè a pochi chilometri da Belpasso, la quale ha interessato gente della Sicilia di varia provenienza, soprattutto dell'entroterra etneo, della provincia di Palermo e di quella di Enna. Conseguente allo sviluppo della suddetta zona industriale è subentrata una situazione di saturazione delle abitazioni. La produzione di questo piccolo polo industriale comprende settori come quello della trasformazione di materie prime, dolciario, edile o meglio plastico inerente l'edilizia, lavorazione del vetro e qualche altro settore. E' interessante rilevare che, nonostante lo sviluppo industriale, tanto l'attività agricola quanto quella artigianale sono, tuttora, piuttosto fiorenti. L'agricoltura di Belpasso ha una grande tradizione, che trova i suoi antecedenti nell'antica Malpasso, toponimo di Belpasso fino al 1669. Dal XVIII al XIX secolo essa gode di una ricca varietà di colture su un territorio la cui altitudine ve dai tremila a poche decine di metri sul livello dei mare. Le voci primarie di questa grande economia agricola erano costituite, in buona misura, da cereali, olio, vino; a cui si aggiungevano sia la specie secca, vale a dire: castagna, nocciola, noci, mandorla e pistacchio; sia la specie fresca come sorbo, ciliegia, prugna, mela, pera, susino, azzeruola, melograno e nespola. Altra forza primaria era data dall'allevamento, di bestiame bovino, ovino, equino e suino. Ancora oggi l'agricoltura è una delle forze trainanti, assieme all'attività commerciale, di questa laboriosa e tenace comunità. L'imprenditoria agricola belpassese non avrebbe potuto impegnarsi in un'organizzazione complessa delle diverse colture se non fosse stata sostenuta da un apparato tecnico artigianale a cui era affidato il compito di produrre ogni genere di strumenti, di arnesi e utensili necessari. In questa comunità l'artigianato è una forza tuttora presente. Le sue origini andrebbero studiate nei secoli, e il permanere di questa forza viva si manifesta durante tutta la celebrazione della festa patronale di S. Lucia.

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Itinerario per Belpasso e dintorni

La prima impressione che ha il visitatore arrivando a Belpasso dalla centrale via Roma, è quella di una cittadina dalle spaziose vie che si intersecano in Rette e Traverse formando il caratteristico tessuto viario "a scacchiera" che fu disegnato all'indomani del terremoto del 1693. Quell'opera di ricostruzione risentì dell'influsso del barocco vaccariano che ancora oggi è possibile ammirare in alcuni dei monumenti principali che sorgono lungo le vie dei centri urbani. Ugualmente piacevole sarà l'impressione dei nostro ipotetico visitatore qualora egli decida di percorrere il vasto territorio di Belpasso che si estende dal cratere centrale dell' Etna fino alla piana di Catania. Chiesa Madre: Dedicata all'immacolata; coi tipico campanile, il portale e la scalea in pietra lavica. E' senz'altro il più importante monumento belpassese. Tra le opere artistiche in essa conservate citiamo: un Crocifisso ligneo del sec.XV di autore ignoto; le tele cinquecentesche della distrutta Matrice di Malpasso, gli affreschi della volta eseguiti da F. Barone e la cameretta del tesoro di S. Lucia, Patrona dei paese, dove si custodiscono le Reliquie della Santa in un artistico scrigno in argento cesellato ed il Simulacro (sec.XVI). Altre opere, esposte soltanto per le ricorrenze, sono: il Fercolo di S. Lucia,opera dell'argenteria sicìliana del '700, il gruppo statuario della Sacra Famiglia, il Telone della Crocifissione, detto "a tíla" del pittore Zenone Lavagna (sec. XIX). Di grande interesse è la campana grande o  "campanone". Fusa nel 1815, pesa più di 30 tonnellate. E' tra le più grandi d'Italia. Palazzo Scrofani - (sec. XVIII). Di interesse architettonico con la balconata ed i portali in pietra lavica e ferro battuto. Teatro Comunale: Dedicato al belpassese Nino Martoglio, fondatore del teatro siciliano moderno, recentemente restaurato, ha la capienza di circa 500 posti. (Le sue linee architettoniche si rifanno allo stile Liberty, tipico dell'epoca di costruzione.) Chiesa S. Antonio Abate: E' la prima chiesa ad essere stata ultimata durante la ricostruzione di Belpasso dopo il Terremoto del 1693. Vi si conservano due Símulacri provenienti dall'antica Malpasso (la Vergine SS. delle Grazie e S. Antonio). Da segnalare in questa piazza delle costruzioni in Liberty quali il palazzo Spampinato e la casa Marletta. Nelle immediate vicinanze i palazzi Sava e Roccella. VIA ROMA: E' la via principale di Belpasso. Un tempo denominata via Etnea, è detta popolarmente " 'a strata ritta"; interamente coperta da basole laviche lavorate a puntillo "puntiate" con gli ampi marciapiedi realizzati sempre in pietra lavica e orlati con fascia lavica. In questa via, che attraversa le due piazze principali - Umberto I e Duomo - si affaccia il vetusto palazzo dei baroni Bufali, vassalli dei Moncada di Paternò. E' il palazzo più interessante di Belpasso, col balcone centrale, gli intagli e i mascheroni in pietra lavica. Sorge su una "timpa" e fu realizzato agli inizi del sec.XVIII. Dirimpetto si erge un'altra interessante costruzione - voluta dall'ultimo barone Bufali - dove ha sede il piccolo teatro "La Fenice''. Altri importanti costruzioni che vi sorgono sono i palazzi Magrì e Prezzavento e le sedi centrali delle due banche belpassesi: la Banca Popolare di Belpasso e la Cassa Rurale "SS: Immacolata". Chiesa di S. Antonio di Padova: Era la chiesa del convento dei Padri Riformati di S. Francesco. Da ammirare il portale in pietra lavica, finissimo esempio di barocco settecentesco, l'altare ligneo, la sagrestia, gli affreschi della volta eseguiti da Alessandro Vasta, i simulacri dell'Immacolata e di S,Antonio di Padova, le tele di Comes e di Zacco. Del Chiostro è rimasta parte del cortile e del colonnato. Palazzo Municipale: Ristrutturato in questo secolo era in parte il convento dei francescani. Da ammirare il salone recentemente restaurato e alcune tele del belpassese Padre Stramondo e di altri artisti contemporanei realizzate in occasione di estemporanee d'arte. Giardino Martoglio: Un tempo era il "piano del convento" oggi è la villa comunale, luogo delle passeggiate estive dei belpassesi e d'incontro dei giovani. Vi sono collocati i Monumenti a Nino Martoglio ed Antonino Russo Giusti opera dello scultore Zagarella. Chiesa Cristo Re Palazzo Lombardo: Attigua a questa piazza vi è la casa natale di Nino Martoglio e la sede del Museo Etnografico "G. Sambataro" che raccoglie testimonianze di insediamenti preistorici nel territorio di Belpasso e della "cultura contadina " dell'Ottocento. Chiesa S. Maria della Guardia: Facciata monumentale in pietra bianca. All'intemo si conserva il simulacro in argento, finemente cesellato, della Vergine SS. della Guardia. Da ammirare alcune tele di G. Carta e la statua di S. Biagio. Nell'immediata periferia di questa zona, posta nella parte alta del paese, si trova la "Cisterna della Regina" che prende nome da Eleonora d'Angiò, moglie di Federico Il d'Aragona, che si ritirò in questi luoghi nel tempo della sua vedovanza. Un poco più a sud è la "Roccia di Belpasso" luogo delle presunte apparizioni della Madonna a Rosario Toscano.

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Nicolosi porta dell'Etna

L'assenza di coordinamento e di programmazione l'ostacolo princípale allo sviluppo di un terrítorío dalle notevoli potenzialità turistiche.

Tenace, profumata la ginestra perfora con le sue radici la lava e così, saldata al suolo, sfida ogni intemperie. Non è difficile tracciare un paragone tra questa pianta che cresce rigogliosa a Nicolosi e la sua gente, che porta alle spalle una storia segnata da una continua lotta per la sopravvivenza contro la forza della natura ed i soprusi degli uomini. La consapevolezza di un destino legato all'incessante alternarsi degli umori dell' Etna ha segnato la vita e lo sviluppo di Nicolosi da sempre definito "Porta dell' Etna". E non si tratta di una banale esaltazione a scopo turistico, ma di una prerogativa più che millenaria da quando, ancor prima del sorgere del paese, accoglieva nei suoi "ospizi" passanti, visitatori e studiosi. Così Nicolosi, la cui primitiva economia ha gravitato per secoli attorno alla comunità benedettina di San Nicola all' Arena cui deve anche il nome, a partire dal Settecento scopre le prime forme embrionali di escursionismo. E, agli inizi del secolo scorso nascono i primi alberghi ed il primo corpo di guide dell' Etna, affiancato dai mulattieri. Da allora è stato un continuo sviluppo, che culmina con la costruzione della strada dell' Etna e, dal dopoguerra, con il boom della villeggiatura che ha apportato un indubbio benessere. Il tessuto urbano è stato arricchito dalla vivacità dì molti operatori di commercio, di numerosi negozi che insieme al turismo costituiscono l'asse portante dell' economia locale. Non sempre però si è avuto uno sviluppo coerente, soprattutto per la mancanza di una politica turistica seria. Siamo sempre a chiedere agli Enti preposti una programmazione a lungo termine, coordinata, che si prefigga una razionale crescita del territorio dal punto di vista sociale, economico ed occupazionale. L'Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo può svolgere un ruolo fondamentale in questa direzione. L' Azienda, nei primi anni di attività dal 1989 ad oggi, è già intervenuta nella stesura del calendario di manifestazioni estive e soprattutto assicurando il funzionamento di sportelli di informazione e di assistenza turistica a Nicolosi Centro e Nicolosi Nord, che rappresentano i pochi punti dì riferimento sicuri per i visitatori. Ma deve svolgere un ruolo ben più importante di indirizzo e di coordinamento. La stazione turistica di Nicolosi Nord ha immense potenzialità; gode infatti del vantaggio non indifferente di essere la più vicina alla città e di disporre di impianti che consentono di sciare anche solo in quota, superando il disagio che deriva da scarsi innevamenti a quota più bassa. Da ciò deriva l'interesse a disporre di un adeguato numero di posti letto sia in centro che a Nicolosi Nord e di una seria programmazione che indirizzi i potenziali investimenti verso strutture di completamento e di supporto rispetto a quelle già esistenti e stimoli l'intelligenza degli operatori verso iniziative promozionali e competitive. Importanti scadenze, a questo proposito, sono la redazione del Piano regolatore generale del Comune del Pian o territoriale e del piano particolareggiato della zona altomontana del Parco dell'Etna. Sono fondamentali strumenti di pianificazione degli interventi che dovranno dettare le linee fondamentali del prossimo sviluppo del paese. Nelle scelte di programma si dovrebbe tenere conto delle forme meno diffuse di sport sulla neve quali lo sci escursionistico, lo sci di fondo, lo sci alpinistico. Un discorso a parte andrebbe fatto per le migliaia di gitanti domenicali che affollano l'Etna. Per costoro dovrebbero prevedersi punti di ristoro e di ritrovo;si potrebbe pensare ad una pista di slittini con un modesto impianto di risalita che assolva al duplice scopo di razionalizzare tale attività ricreativa e di climinare il pericolo per gli sciatori. Tutto ciò sempre che le amministrazioni preposte assicurino gli interventi necessari che consentano all'utenza di arrivare in quota: spalatura delle strade, servizi di viabilità e ordine pubblico, assistenza sanitaria specialistica e traumatologica, parcheggi, servizi igienici, telefoni pubblici, uffici informazione e assistenza turistica e quant'altro può servire a qualificare una stazione di montagna. Anche le strutture ricreative e turistiche del centro dovrebbero attrezzarsi per soddisfare l'eccezionale richiesta di quanti transitano e soprattutto di coloro che intendono soggiornare a Nicolosi. C'è molto da fare, soprattutto per invertire quella tendenza negativa che si registra già dal 1983 da quando, cioè, l'eruzione dell'Etna tagliando la strada provinciale 92 diede un duro colpo all'economia locale. Solo adesso, dopo undici anni, la vicenda del ripristino della provinciale sembra avviarsi a soluzione. Ma gli sprechi, le lungaggini, gli interventi poco coerenti sono numerosissimi e spesso hanno obbedito piuttosto a logiche di speculazioni o di interessi particolari che non ad un effettivo rilancio dell'economia turistica. Molto spesso ci si accontenta di avere delle piccole soluzioni oppure ci si abitua a certi modi di gestione mortificando ogni iniziativa privata. La scarsa maturità civica si riscontra in vari settori ed in primo luogo nel dibattito politico che risulta appiattito in logiche personalistiche piuttosto che in azioni di gruppo che sarebbero fondamentali per dare una svolta al paese. Prevale così la logica di delegare le scelte a chi può dare qualche garanzia anziché impegnarsi e rischiare direttamente, sacrificando il proprio individualismo per l'interesse comune. E tale scarsa maturità si riscontra nel poco rispetto dei beni comuni, nella eccessiva frammentazione delle associazioni, nelle difficoltà che incontra la cooperazione in ogni settore. Sono questi gli ostacoli principali che finora hanno impedito quel salto di qualità che è possibile immaginare se si tiene conto delle immense potenzialità che il teritorio offre.

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Nícolosi nella storia

La storia del paese denominato "porta dell'Etna" si intreccia inestricabilmente con quella del vulcano. Da borgo intorno al convento di S. Nicolò a comune con vocazione turistica.

Nicolosi giace sul fianco meridionale della regione inferiore dell'Etna, ai piedi dei Monti Rossi, a 702 metri sul livello del mare e offre ampi panorami verso il golfo di Catania. Della presenza romana rimanevano, sino a qualche secolo fa, resti di abitazioni e bagni e la Torre del Filosofo, presso il cratere dell'Etna a 2911 metri di altitudine, una piccola costruzione destinata a ricordare la visita dell'Imperatore Adriano (76-13 8 d.C.) sull'Etna,c . Il nome deriva dalla leggenda secondo la quale questa edicola sarebbe stata abitata dal filosofo Empedocle di Agrigento, vissuto fra il 490 e il 430 a.C. e morto suicida dentro il cratere. Durante il periodo arabo l'ambiente etneo fu arricchito dalle coltivazioni del limone, dell'arancio amaro e del pistacchio; inoltre venne realizzata un'imponente rete stradale campestre che rese più agevole l'ascesa al vulcano. Ruggero I, nei quindici anni (1086-1101) del suo effettivo dominio, si preoccupò di gettare le basi del nuovo stato. Tale operazione fu accompagnata, nella zona etnea, da un'azione di risanamento e sfruttamento agricolo affidata alla comunità benedettina, che, con il possesso della terra, assicurava il controllo dell'economia regionale. E' dunque al XIV secolo che deve farsi risalire la nascita di Nicolosi; infatti, anche se è facile supporre che già nei secoli precedenti si fossero insediate famiglie di pastori e contadini, è solo la trasformazione dei monastero in sede abbaziale a richiedere una concentrazione stabile del personale addetto alla regola ed alle terre che i monaci controllavano, tanto da formare un vero e proprio casale. Perché Nicolosi si chiami così non è possibile accettarlo in quanto non ci è stata tramandata nessuna documentazione in proposito. L'abate Amico ritiene che il nome sia dovuto alla vicinanza del paese con il monastero di S. Nicola l'Arena. Il borgo si divideva in tre quartieri; il meridionale denominato la Guardia, il settentrionale o del Piano e il centrale o della Chiesa. Nicolosi non si formò dunque secondo un disegno urbanistico, ma spontaneamente, sorse infatti vicino al monastero ed essendo un centro di montagna con poche relazioni esterne, si sviluppò in seguito essenzialmente intorno alle sue chiese. Fin dal suo nascere però il paese parve destinato a mille sventure a causa della sua ubicazione sulle pendici del vulcano, una posizione che non si presta al deflusso delle lave scaturenti più a nord. Cresciuta l'importanza del borgo di Nicolosi, esso fu nel 1447 infeudato dal principe di Paternò che lo amministrava per mezzo dei suoi procuratori residenti a Malpasso; ma più tardi gli abitanti ottennero dal principe di avere un'amministrazione propria, pur restando dipendenti da Malpasso per gli affari di giustizia ed altro. La dipendenza amministrativa da Malpasso fu però la sorgente di una interminabile lite. Il comune di Malpasso godeva del privilegio di pascolare le greggi nei boschi dell'Etna, di far legna, carbone, neve e ghiande per ingrassare i suini; ma a queste ampie concessioni subentrarono molte usurpazioni; abusi furono commessi nei boschi, non solo a disboscare, ma a pascere, seminare ed usare della neve dell'Etna oltre il lecito. Si spiegano così le limitazioni nei pascoli imposte dal vescovo Podio nel 1489 a difesa delle colture come canone fondamentale di garanzia nel sistema degli usi promiscui, sia nell'interesse dei baroni, sia degli enfiteuti e dei singoli che godevano del diritto di semina. In realtà però, volontà precisa dei vescovi era quella di sottrarre al demanio i boschi mediante il loro disboscamento, al fine di aumentare con l'estensione delle aree coltivabili il reddito degli affitti e dei canoni enfiteutici. Da qui una serie di contrasti con l'autorità civile, in quanto, essendo i boschi di regio demanio, il loro disboscamento costituiva un danno per la corona e per i cittadini che ne avevano l'uso imprescrittibile. Gravi danni all'economia dei luogo causò l'eruzione del 1536. A quanto narrano le cronache dei ladri Cassinesi Filoteo, Selvaggio da Arezzo ed il Fazelo, che ne fu spettatore, questa eruzione fu tra le più violente e gli abitanti di Nicolosi furono così minacciati che dovettero. Le eruzioni del 1536 e del 1537 ed il successivo terremoto del 1542 spinsero i monaci di S. Nicola ad abbandonare il monastero e a trasferirsi a Catania. I motivi di tale decisione furono diversi: vi era la paura continua delle eruzioni e dei terremoti; il monastero era piuttosto isolato anche se il piccolo paese di Nicolosi sorgeva a pochi chilometri; il popolo catanese aveva espresso il desiderio di avere la reliquia del Sacro Chiodo, donata al Monastero da re Martino; infine vi era la paura dei malviventi che arrecavano al monastero danni e soprusi. I benedettini nel 1545 si trasferirono a Catania, ma vi rimasero solo per un anno, poiché per ordine del nuovo abate, Angelo di Castel di Sagro, dovettero ritornare al monastero di Nicolosi. Essi tuttavia non rinunciarono all'idea di trasferirsi in città; nel 1558 ottennero dai loro superiori di Montecassino il permesso di costruire un loro monastero a Catania e due anni dopo, nel 1560, abbandonarono definitivamente il monastero di S. Nicola all'Arena, che dopo il loro trasferimento si avviò ad una progressiva decadenza. La nuova situazione non dovette comunque intaccare lo sviluppo di Nicolosi, che doveva essere dotato di un cospicuo numero di famiglie, se nel 1601 la sua Chiesa Madre veniva eretta al rango di Parrocchia e svincolata dalla dipendenza da quella di Mompilieri. Questa situazione di incertezza e di disagio spiega il mancato sviluppo di Nicolosi anche per l'esiguità numerica dei suoi abitanti, che nel 1653 ammontavano a solo 515 unità. L' 8 marzo 1669 iniziò l'attività del vulcano. Terremoti continui, prima lievi poi via via sempre più forti, scuotevano la terra. La zona sismica interessava il territorio di Nicolosi, Pedara, Trecastagni, Malpasso. I nicolositi preferirono rimanere all'aperto nella zona chiamata "Falliche" ad ovest del paese. L'eruzione cessò l' 11luglio 1669; a nord ovest dei Monti Rossi si formò la "grottadelle Palombe", scoperta da Mario Gemmellaro nel 1823. I nicolositi , dopo esser stati per quattro mesi lontani dal loro paese distrutto, vi vollero ritornare. Il legame che li univa alla loro terra era così profondo e l'amore verso il luogo natio così forte che essi lottarono con tutte le forze per poter ricostruire Nicolosi ed abitarvi nuovamente. Il cardinale Aloisio Moncada, principe di Paternò e proprietario del feudo, aveva l'intenzione di riunire tutti gli abitanti dei paesi del suo feudo distrutti dalla lava, in una nuova struttura urbana che doveva sorgere nei pressi di Misterbianco, denominata "Fenicia Moncada" con riferimento alla leggenda dell'araba fenice che risorge dalle ceneri. Ma i cittadini di Nicolosi così come quelli di Belpasso non accettarono passivamente il trasferimento e si batterono per liberare le case dalla cenere e ripristinare l'insediamento nonostante l'opposizione anche violenta del principe. La loro caparbietà fu premiata con l'ottenimento dal principe di Campofranco del permesso di ricostruire il paese. Con una febbrile attività il paese fu ricostruito presso gli edifici che a stento si erano salvati dal terremoto e cioè la chiesa di S. Maria delle Grazie ed il campanile della Chiesa Madre. Nel 1676 il principe di Campofranco concedette la possibilità di godere di un'amministrazione propria, ma Nicolosi restò dipendente da Fenicia Moncada fino al 1693, quando fu distrutta da un violentissimo terremoto, che danneggiò gravemente anche Catania. Nicolosi venne ricostruito tenendo conto dell'aspetto che esso aveva prima del 1669. Tra il 1730 e il 1750 con il denaro versato dal Comune e dai cittadini più facoltosi si ricostruirono la Chiesa Madre su un progetto del Vaccarini e la chiesa delle anime del Purgatorio che venne restaurata la chiesa S. Maria delle Grazie. Il paese continuò ad accrescersi (nel 1789 la popolazione era di 3822 abitanti) e ad ingrandirsi verso ovest, nella zona chiamata "asciara",oltreilPiano delle Forche, così chiamato perchè vi si eseguivano le condanne a morte. L'Etna intanto nel 1766 con un'altra eruzione minacciò da vicino il paese, condanni ingenti al patrimonio boschivo. Cessato il pericolo, gli abitanti eressero i Tre altarelli. Sotto le tre arcate erano dipinte le immagini della Madonna delle Grazie, di S. Antonio di Padova e di S. Antonio Abate protettori del paese. Ai primi anni del 1800 risale la costruzione della chiesa di S. Francesco di Paola nel Piano delle Forche. Nel 1818 fu costruita presso la piazza principale una cisterna pubblica, che doveva servire per i poveri e nei periodi di siccità. Una lapide in latino (tutt'ora esistente) ne regolava l'uso. La realizzazione della strada Regia o Ferdinandea nel 1835 su progetto di don Alvaro Paternò, principe di Manganelli, che collegava Barriera del Bosco con Nicolosi segnò l'evento più importante per il paese del XIX secolo in quanto ne fece tappa obbligata per l'ascesa al vulcano. Proseguiva intanto lo sconsiderato disboscamento. Nel 1826 i Borboni avevano esteso alla Sicilia le leggi forestali e venatorie che avevano come scopo la salvaguardia dei boschi rimasti. Ma le guardie forestali erano pagate estremamente poco ed erano solite incrementare il loro salario tagliando abusivamente gli alberi e aiutando il traffico clandestino di legname per costruzione e da ardere. Abolite nel 1840 le leggi degli usi promiscui, i boschi dei municipi e quelli dei privati, ridotti in frazioni o concessi, si mutarono in vigneti, in pometi e in boschi cedui dando modo agli agricoltori di ottenere buoni guadagni con i prodotti della terra. Intanto anche Nicolosi mandò i suoi giovani a combattere a Catania contro i Borboni nel 1848 e, in seguito all'impresa garibaldina, innalzò nel 1860 la bandiera tricolore; quindi fu istituita una Guardia Civica ed il 21 ottobre si votò per l'annessione della Sicilia al Piemonte. Il 17 marzo del 1861 Nicolosi divenne Comune del Regno d'Italia. Il 19 marzo 1883 alle ore 4 del mattino un forte boato sveglia i nicolositi,: un'altra minacciosa eruzione dell'Etna era iniziata. L'eruzione durò appena un giorno e mezzo e ciò, come si disse, poteva essere il preavviso di qualche altra più grave. Ed infatti tre anni dopo, nella notte tra il 18 e il 19 maggio 1886 preceduta da un fortissimo terremoto ebbe inizio una nuova eruzione da una fenditura apertasi a dodici chilometri da Nicolosi nei pressi di Monte Grosso. Il giorno dopo, l'arcivescovo Dusmet, constatato il progredire minaccioso della lava portò a Nicolosi la Reliquia del Velo di S. Agata e in pellegrinaggio lo condusse a poca distanza dal fronte lavico. Essendo la situazione ulteriormente peggiorata, fu dunque resa dì pubblica ragione l'ordinanza del Prefetto che fissava il termine allo sgombero di Nicolosi per le ore 12 del 31 maggio. Pubblicata l'ordinanza prefettizia, a Nicolosi, era tutto squallore e tristezza. Poche case ancora abitate; le altre -completamente vuote e abbandonate, prive di imposte, senza parapetti ai balconi e alcune persino senza stipiti di pietra alle aperture. Un popolo derelitto e piangente, lasciava dietro di sé ogni suo bene e si incamminava verso l'ignoto. Nei giorni seguenti l'estremo fronte della lava che aveva messo in grave pericolo Nicolosi si manteneva attivo e alle 12 del 2 giugno conservava ancora la velocità di 5 metri l'ora. li 4 giugno la colata rimase sospesa sul declino soprastante Nicolosi, a soli 327 metri dalle prime abitazioni; e si fermò proprio nel luogo in cui erano pervenuti la processione con il Velo di S. Agata e con la statua di S. Antonio Abate. Venne così ordinata la soppressione del cordone militare e permesso il rientro della popolazione. Ben presto si riprese a vivere normalmente e a riparare i danni sofferti dall'eruzione. La situazione economica di Nicolosi migliorò presto. L'agricoltura rimase l'attività fondamentale: si coltivano vigneti, fichi, gelsi, pomi, peri, ciliegi. L'allevamento invece non ebbe grosso sviluppo per l'insufficienza di stabili risorse alimentari; la pastorizia era primitiva e condotta col sistema della transumanza. Era parecchio diffuso il piccolo artigianato; vi erano calzolai, fabbri, una fabbrica di cera, ed inoltre cordari, botteghe di falegnami, muratori, diverse sartorie. Esisteva una "carcara", dove si fabbricavano mattoni e "canali" di terracotta, una particolare importanza aveva il commercio della neve. Furono costruiti tre alberghi. Le strade, in genere erano marciapiedi e con le "basole" di pietra lavica, che rendevano possibile così lo spostarsi delle persone, delle cavalcature, dei carretti e delle carrozze. Gli ultimi decenni hanno visto una radicale trasformazione del paese che a poco a poco ha cambiato fisionomia, a ciò ha contribuito la realizzazione di opere nuove e l'operazione di sostituzione edilizia dei vecchi con i nuovi fabbricati ed il processo di riempimento degli spazi non ancora edificati. Dall'immediato dopoguerra, inoltre, i pendii sud-orìentali dell'Etna sono diventati meta di villeggiatura estiva della popolazione catanese che vi ha costruito case secondarie dalle linee architettoniche moderne e dai colori vivaci che male si inseriscono nel paesaggio naturale ed agrario della montagna. Il boom dell'edilizia ha arrecato indubbiamente benessere, ma un paese come Nicolosi, posto a poca distanza dalla città e da cui dipende per la sua economia prevalentemente terziaria, dove mancano sia l'industria sia un'agricoltura efficiente e produttiva, specialmente dopo il graduale e costante abbandono delle campagne, non poteva fondare la sua economia su un'edilizia che non presentava un carattere di continuità e prospettiva illimitate, essendo indissolubilmente legata alla congiuntura economica. Negli anni Settanta si realizzano così impianti turistici e sportivi, concretizzando quell'apparato di strutture indispensabili per determinare il decollo di un nuovo assetto economico legato a più moderne esigenze turistico-sportive. E sebbene ancora l'Etna abbia fatto sentire la sua voce, più recentemente nel 1983 e nel 1985, arrecando danni notevoli all'economia del paese, non è riuscita a affiancare la tenacia sempre desta dei nicolositi, consapevoli che la fortuna e la crescita del paese sono legate nel bene e nel male alla spettacolare vivacità del grande vulcano.

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Ragalna "Terrazza dell'Etna"

Una volta rigoglioso ambiente naturale detto "Terrazza dell'Etna" oggi il paese si è riempito del cemento delle seconde case per la 'Villeggiatura".

A 12 km da Paternò a 7 da Nicolosi, a 30 da Catania, a circa mille metri di altitudine, incastonata tra il verde smeraldo dei pini, delle querce e dei castagni, sorge Ragalna, detta anche "Terrazza dell'Etna" o "perla dell'Etna". Il suo territorio adagiato sulle falde del- l'Etna, presenta interessanti scenari paesaggistici compreso com'è dai 500 ai 2815 m s.l.m. Questa posizione panoramica, la salubrità dell'aria intrisa d'un frizzante profumo di fiori campestri, una lussureggiante vegetazione, fa si che sia meta nella stagione estiva di numerosi villeggianti provenienti dai centri viciniorí. Sull'etimologia di Ragalna i pareri sono contrastanti. Si suppone che questo nome derivi da "Rahanna", che si potrebbe far derivare da "Ragos-logos" che deriverebbe a sua volta da "Raslego" che significa letteralmente Il raccoglitori di uva o meglio, di granelli di uva". Questa etimologia potrebbe essere accettata perchè la produzione vinicola è stata sempre presente nella zona. Altre ipotesi attribuiscono al nome Ragaina un'origine araba che risulterebbe dalla composizione della parola "Rahal" e "Etna" con la sincope di "et". In questo caso significherebbe "Borgata dell'Etna". Una terza ipotesi si lega alla composizione delle due parole "Rahal" e "Anna- con la sincope di "An", che significherebbe "Borgata di Anna". La ricostruzione della storia di Ragalna si fa partire da epoca normanna, perchè solo in quest'epoca si hanno documenti nei quali si riporta un'antica denominazione di "Rachalea", citata nella donazione fatta nel 1136 al monastero di San Leone da Enrico, conte di Policastro e Signore di Paternò, genero del conte Ruggero I, per averne sposata la figlia Flandrina, la quale dopo la morte della contessa Adelaide, ebbe in appannaggio la terra di Paternò in cui era compresa l'antica "Rachalea". 1 fatti salienti dell'epoca e quelli successivi sono legati alla vita dei monasteri, che si trovavano nel territorio di Paternò. Gli abitanti per la scarsità demografica non dovettero ricoprire speciali ruoli, tranne quelli di collaboratori delle strutture ecclesiatico-conventuali. Nel periodo post medievale, Ragalna, appartenne alla famiglia Moncada, principi di Paternò. Il grande evento che riportò Ragalna alla cronaca, fu quello dell'eruzione dell'Etna del 1780. Il braccio più esteso di questo si fermò a Ragalna in via Eredità, dove erano state portate in processione le sacre reliquie di Santa Barbara, alle quali venne attribuito il miracolo prodigioso dell'arresto della lava. Nel 1870, si iniziò la costruzione della Chiesa Madonna del Carmine (e la campana fu donata dal Cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet, arcivescovo di Catania). D'allora la vita dei ragalnesi continuò tranquilla fino al 1943, quando migliaia di profughi, per gli eventi bellici, provenienti da Paternò da Catania e da altri centri, trovarono asilo e ospitalità. Tale esodo costituì in incentivo per la valorizzazione della zona, nota fino allora solo come località pedernontana. Nell'immediato dopoguerra, il numero dei villeggianti è progressivamente aumentato e si è inserito nel tessuto abitativo comunale fino a raddoppiare e a triplicare la popolazione residente (i circa tremila abitanti diventano quasi ventimila nel periodo estivo). Dall'ultimo dopoguerra, fino al 29 aprile del 1985, data in cui conquisterà l'autonomia, divenendo così il 58 Comune della provincia, le vicende storiche di Ragalna saranno strettamente legate a quelle del vicino comune di Paternò Il 70% della popolazione attiva si dedica all'agricoltura. Data la sua caratteristica ubicazione ed il suo clima è possibile praticare una agricoltura polivalente. Nelle zone di collina di bassa montagna si ha una estesa coltivazione di alberi da frutta e di bosco; a seconda dell'altitudine e dell'esposizione si coltivano: la vite, l'ulivo, il fico, il ficodindia, il pistacchio, il pero, il melo e il ciliegio. Ragalna conserva, in gran parte le caratteristiche dei paesi montani etnei, con case in pietra lavica, inframmezzate da antiche ville di pregevole fattura. Notevoli sono le cisterne, la più celebre delle quali denominata "Della Regina", secondo la tradizione fu fatta costruire dalla regina Eleonora d'Aragona, vedova di Federico III. Legate alla fede popolare, sono le numerose chiese ed edicole votive alcune delle quali sistemate in grotte naturali Simbolo del paese è la chiesa della Madonna del Carmelo; degne di menzione sono anche le Chiesa di Santa Barbara e di San Giovanni Bosco. Nel territorio di Ragalna si trovano ubicati il Grande Albergo dell'Etna e l'Osservatorio Astrofisico. Numerose le grotte laviche tra cui quella di S. Barbara, Rocca Tallarita, dello Stizzere (dove si raccolgono saporiti funghi).

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Il Paese di Martoglio

Tutto ebbe inizio nelle aristocratiche dimore dei notai di Malpasso, mentre nel resto d'Italia imperava il teatro nelle corti. Nell'antico borgo etnèo, infatti, i ricchi professionisti, legati profondamente a questa forma d'arte, allestivano "La Sacra rappresentazione" peri frequentatoti più assidui delle loro abitazioni. Con l'eruzione del 1669 e la conseguente distruzione di Malpasso, usi, costumi, ed abitudini (compreso il teatro) furono trasferiti nel nuovo insediamento di Fenicìa Moncada, dove i Malpassoti risiedettero per una trentina d'anni, ma non ebbero neppure il tempo di acclimatarsi che altri due malefici eventi naturali, il terremoto e la malaria, indussero i cittadini ad una nuova diaspora in un luogo considerato più sicuro epiù salubre. Con l'edificazione di Belpasso (1693), il teatro rifiori nella suggestiva dimora settecentesca dei notai Scrofani. Rifiorì con la "Sacre rappresentazioni" che si collegarono idealmente a quelle di malpassota memoria. Fu sufficiente non più di un secolo affinché nella nuova e ridente cittadina si verificassero alcuni fatti che rivoluzionarono il modo di far teatro. Con il trasferimento delle "Sacre rappresentazioni" dalle case alle chiese, il teatro non fu più fenomeno "elitario" bensì fenomeno aperto alla massa. Frattanto, proprio sul finire dell' Ottocento, successero due cose importanti a Belpasso: una famiglia originaria di Adrano, quella dei Crocellà, realizzò nella propria abitazione un teatrino dove venivano rappresentati l'opera dei pupi ed alcune opere teatrali cui partecipava un pubblico numerosissimo, mentre nella Dodicesima Traversa, l'Amministrazione Municipale, finalmente ultimava il Teatro Comunale che era stato richiesto a furor di popolo per tanti anni dai cittadini. Da allora, il teatro, non venne più considerato fenomeno esclusivamente religioso, ma anche laico. Intanto, un manipolo di sensibili contadini, riposta la zappa da lavoro, dopo il duro lavoro dei campi, comincio ad intingere dapprima timidamente, poi sempre più decisamente, la penna nel calamaio per elaborare dei versi in vernacolo di fine fattura che successivamente essi stessi declamavano in piazza sottoforma di "cuntrasti" e di "mascarate". Questi memorabili fermenti artistici movimentarono la cittadina etnèa per una ventina d'anni (i primi vent'anni del Novecento). Ma l'appassionante storia del teatro belpassese non finisce qui, anzi, saranno proprio quegli anni e gli anni a venire i più ticchi di tensioni emotive ed artistiche. Prima di raccontarli è doveroso fare un piccolo passo indìetro: nel 1870 in una modesta dimora della via Terza Retta Levante nasceva Nino Martoglio, il più grande commediografo dialettale che la scuola siciliana abbia prodotto. Dopo gli anni della giovinezza trascorsi nel suo paese natio, Martoglio si trasferì a Catania e proprio nel capoluogo etnèo spiccò il volo-grazie anche alla mirabile capacità espressiva di Angelo Musco-per i teatri di tutto il mondo. Tuttavia non dimenticò mai di fare qualche capatina a Belpasso suscitando l'entusiasmo incontenibile del pubblico che al cospetto del grande commediografo andava letteralmente in delirio. Secondo una analisi approfondita di Giuseppe Sambataro, studioso dell'opera del belpassese, Nino Martoglio trovò forte ispirazione nel suo paese natio per scrivere "L'Aria del Continente " e "Annata ricca massaru cuntentu ". Diverse le analogie-secondo Sambataro fra le opere e i luoghi di ambientazione reali (''l'Acqua Rossa"), una contrada in territorio belpassese; "il casino di civile adunanza ", molto simile secondo la descrizione martogliana al "Club Progressista ", e infine la campagna belpassese riccadiviti, di ulivi, di fichidindia, e di aranci, odorosa di mosto e di zagara). Con l'improvìsa di partita del grande commediografo, avvenuta per cause accidentali nel 1921 (Martoglio cadde nella tromba dell'ascensore) il movimento artistico innescatosi in quegli anni a Catania (e di conseguenza a Belpasso) parve sopirsi. Invece un altro commediografo di talento, Antonio Russo Giusti, diede impulsi importanti al teatro belpassese, dopo i trionfi conseguiti grazie alle sue rinomate ed apprezzate commedie (ricordiamo, fra le altre,"l'eredità dello zio canonico ","Gatta ci cova ", "Cittadino Nofrio ", "La scodella del cane " ), rappresentate da Angelo Musco e portate nei teatri di tutto il mondo("L 'eredità" e "Gatta ci cova" furono ridotte in versione cinematografica e rimangono degli importanti reperti di cinema italiano degli "anni '30"). Russo Giusti-residente a Catania ma belpassese di origine da parte di padre - nel 1943 abbandonò il capoluogo etnèo a causa dei bombardamenti e si trasferì a Belpasso dove, assieme ad un folto gruppo di giovani e vecchi talenti delpalcoscenico (Rosario Magrì, Giuseppe e Santo Caserta, Antonino Mario Leonardi, Turi Costantino ed altri) fondò la "Brigata d'Arte Nino Martoglio ", una gloriosa Compagnia che, da allora, - continua brillantemente la sua ultraquarantennale attività.

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La Patrona S. Lucia

L'elezione di questa Santa a Patrona celeste di Belpasso risale al 1600, o più esattamente al 12 dicembre 1636, anno in cui il paese di Malpasso assume la piena autonomia amministrativa dal comune di Paternò. Malpasso fu seppellita dall'eruzione dell'Etna del 1669 e nel 1693 il terremoto distrugge Fenicia Moncada, il centro abitato che i malpassoti avevano costruito dopo l'eruzione. Ventiquattro anni di sconvolgenti vicende non scoraggiano questa gente che neI XVIII secolo costruisce Belpasso, in cui fondono usi, tradizioni e costumi della originaria comunità di Malpasso. La festa di S. Lucia va assumendo negli anni contenuti sempre più ricchi e densi di significato e di fede Un rapido sguardo al suo definirsi dopo il XVIII secolo permette di comprendere meglio il significato delle attuali celebrazioni. Le sacre rappresentazioni e le torce dei ceti popolari risalgono al Settecento esse si erano aggiunte ai festeggiamenti tradizionali. Le sacre rappresentazioni sono costituite da spettacoli teatrali della vita e del martirio di S. Lucia, con scene e costumi propri a quell'epoca. Le torce, ornate di sculture e fiori, precedono il fercolo, ed entrambi, sono portati a spalla e rappresentano le diverse categorie sociali. Si hanno notizie scritte delle torce dei I "massari" ", dei "maestri " dei "giornatari ", degli "ortolani" e dei "bottegai". Altra manifestazione di grande rilievo sono le " cantate " a S. Lucia. Nella seconda metà dell'Ottocento si inseriscono nei festeggiamenti alcune forme musicali: le "cantate ". Belpasso nel 1860 conta tre corpi bandistici la qual cosa sia a significare che si era venuta a creare una cultura musicale. Ancora oggi queste "cantate " hanno un carattere che le contraddistingue in quanto ogni quartiere della cittadina ha una sua "cantata ". La sera della vigilia, detta "sera dei cantani ", ciascuna di esse viene eseguita e cantata da orchestra e coro. Viene eseguito per primo l'Inno, a cui fa seguito la Preghiera e, per ultimo, la Cabaletta. Di ognuna di esse si posseggono gli originali. Ad attestare la vivacità e il campanilismo dei "quartieri" vi sono anche i cosiddetti "carri allegorici ". Essi fanno la prima apparizione verso l'inizio del Novecento, allorché in seguito a talune trasformazioni sociali, accanto al ceto contadino emerge quello artigianale, costituito da falegnami, intagliatoti di pietra, fabbri, carradori, la cui indole estrosa e creativa dà vita ai "carri allegorici "che, assieme alle "cantate" danno luogo a momenti fra i più suggestivi della festività. La combinazione di queste due forme carro allegorico-cantata può avere delle alternanze a seconda della disponibilità delle maestranze del quartiere; infatti quest'anno il quartiere S. Antonio presenterà entrambi, mentre il quartiere Matrice sarà presente con la "cantata", il quartiere "Purgatorio" con il carro allegorico, il quartiere San Rocco non parteciperà e il quartiere di Borrello, che non ha mai avuto la "cantata", sarà presente con il carro allegorico. I "quartieri" rappresentano delle antiche comunità molto piccole che facevano parte dello stato di Malpasso e Paternò fino al 5 luglio del 1636, infatti ognuno di essi ha il proprio santo protettore, anche se la Patrona di Belpasso, la santa Patrona, verso la quale viene espresso un acceso sentimento di fede , è soltanto S. Lucia. Le maestranze dell'artigianato locale fornivano all'agricoltura tutto quanto abbisognava, a partire dalle carrette per buoi, ai carri, ai calessi, ai birocci; conte pure agli arati! ed altre attrezzature ed utensili per la fattoria, per la casa, per il paese tutto, e anche per le comunità vicine. In occasione della festività della Patrona possiamo vederle, in piccola èquipe, lavorare con fantasia ed estrosità intorno ad un tema per il carro allegorico del proprio quartiere. Il progetto viene tenuto segreto per accrescere l'effetto finale.

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Cosa visitare

Monastero di S. Nicola: Il Monastero di S. Nicola, anche se ormai in gran parte distrutto dal tempo, resta una delle più antiche ed importanti costruzioni esistenti nella zona etnea. Opera dei Benedettini, risale alla metà circa del sec.XII ed intorno ad esso venne crescendo un villaggio che, da San Nicola, si chiamò Nicolosi. Divenuto Abbazia, ospitò la regina Eleonora D'Angiò e, successivamente, la regina Bianca, vicaria di Navarra. L 'ente Parco dell'Etna ne ha acquisito il possesso e iniziato l'opera di restauro per adibirlo a propria sede. Chiesa Madre: La "Matrice", come la definiscono i nicolositi, sorge sulla piazza principale e costituisce il cuore autentico del paese. Essa è unica nel suo genere. Di stile barocco, proprio del migliore Settecento catanese, attribuita all'architetto G.B. Vaccarini, presenta un caratteristico campanile costruito su basamento dì pietra lavica, risalente al XVI secolo, unica opera salvatasi dalla eruzione del 1669. All'interno della Chiesa si possono ammirare: un magnifico crocifisso ligneo, di autore ignoto del 1700; il Palietto dell'altare maggiore, mentre in alto, sull'ingresso, è situato un antico e pregevole organo, la cui paternità è attribuita al Cinque mani. Cippo a Goethe ed ai visitatori illustri: Dedicato a Goethe ed ai visitatoti illustrì, è stato eretto, nel 1987, in occasione del secondo centenario della venuta di Goethe a Nicolosi, ai piedi dei Monti Rossi. In esso, verranno, inoltre, riportati i nomi di altri illustri visitatoti dell'Etna (Brydone, Spallanzani, Verne, Maupassant, Verga e numerosi altri). Monti Rossi: Conetti vulcanici generatisi in seguito all'eruzione del 1669 che distrusse Nicolosi, i paesi limitrofi ed una gran parte della città di Catania. Si elevano a circa 200 metti dalla base e costituiscono uno dei crateri avventizi dell'Etna. Impareggiabile prodotto della natura, dalle caratteristiche due cime, formato dall'abbondante materiale eruttivo espulso dal centro esplosivo, è ricoperto oggi da una densa vegetazione di pini e di meta preferita di turisti e villeggianti. Alla sua cima (m. 949 s.l.m.), dalla quale si può osservare uno stupendo panorama, si accede attraverso un sentiero che si diparte dal Cippo a Goethe. Grotta del "Palummì"(delle Colombe): Posta a qualche centinaio di metti a nord ovest dei Monti Rossi, si formò inseguito all'eruzione del 1669. E'costituita da una voragine che raggiunge una profondità di circa 70 metti, di cui si può visitare solo la caldera di accesso. E' pericolosa l'escursione del cunicolo in profondità senza guida e senza idonea attrezzatura. Infondo alla grotta si trova una lapide dedicata all'insigne vulcanologo e naturalista nicolosita, Mario Gemmellaro, che per primo la esplorò. Recentemente, a cura dei C.N.R., vi sono state allocate particolari strumentazioni per il rilevamento sismico. Parco Calvario: E'una collinetta sita nella parte occidentale di Nicolosi. Coperta da alberi secolari presenta una scalinata (n. 114 scalini) ai cui lati sono state erette le 14 stazioni della Via Crucis. La cappellina terminale sormontata da una grande croce reca una Deposizione in maiolica, opera di Carlo La Licata. Grotte di scorrimento lavico: Nei dintorni di Nicolosi si trovano numerose grotte di scorrimento lavico. Le più conosciute sono quelle di Piano d'Erasmo già utilizzata come deposito per attrezzi agricoli Grotta lunga, con la caratteristica volta a sesto acuto e con stalattiti di lava e, a Nicolosi Nord sull'Etna, la grotta dei Carcarazzi e la famosa grotta dei Tre livelli.

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