Píetraperzia una storia millenaria

L'antica Caulonia poi Agar al Matqub cioè pietra perciata

Ma che Robin Hood d'Egitto, Testalonga era un mascalzone di Tino Vittorio

Chiese,monumenti e luoghi storici

Pietraperzia oggi, proble i e prospettive

In giro per Pietraperzia

Numerose le testimonianze archeologíche nel territorio

Le leggi dei Carafa

Il Castello Barresi

L'Habitat medievale

Il signore delle fasce

 

Píetraperzia una storia millenaria

La storia millenaria di Pietraperzia costituisce una sorpresa sia per gli studiosi, sia per coloro che occasionalmente si avvicinano a questa città. Basta tuttavia considerare la posizione occupata dal Paese e dal suo territorio nella geografia politica della Sicilia, per rendersi conto di quanto ambìto sia stato il controllo di questi luoghi sin dai tempi più remoti. Profondi conoscitori dei luoghi e della loro storia, alcuni scrittori e ricercatori locali stanno svolgendo un lavoro di indagine e di analisi storica finalizzata, oltre che alla conoscenza scientifica di ogni fatto che riguarda la loro patria, alla divulgazione di tale conoscenza ed alla salvaguardia dei patrimonio storico-culturale posseduto da Pietraperzia. Numerose sono le pubblicazioni uscite in questi ultimi anni (di cui ci siamo serviti per elaborare i nostri servizi) tra le quali possiamo citare i recenti: L.GUARNACCIA-S.VIOLA. Guide ai monumenti ed ai luoghi storici di Pietraperzia, 1993. L. GUARNACCIA, vita e condizioni della popolazione a Pietraperzia alla caduta della feudalità e dello stesso. Il Castello di Pietraperzia, la Chiesa Matrice. F. MAROTTA, La Settimana Santa e la Pasqua a Pietraperzia, 1989 .M. CIULLA, Retrospettive, immagini del passato. R. NICOLETTI-A.LALOMIA, Storia del territorio di Pietraperzia dalle origini agli Aragonesi. La grave trascuratezza e l'abbandono in cui versano a tutt'oggi grandiosi monumenti come il Castello medievale o la settecentesca Chiesa Madre o la Chiesa del Rosario o talune zone archeologiche fra le tante sparse sul territorio, trovano ora un crescente manipolo di persone decise a difendere ogni segno di questo patrimonio storico culturale - ambientale.

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L'antica Caulonia poi Agar al Matqub cioè pietra perciata

Storia di una terra di grano comune feudale della famiglia Barresi poi Branciforti di Trabia ...

Fonti antiche, non confermate dalla ricerca archeologica, indicano la zona a nord-est dei paese in contrada Rocche, come sito dell'antica città fortificata di Caulonia, i cui abitanti, secondo Strabone, erano originari della Caulonia calabra distrutta dal tiranno di Siracusa Dionigi il vecchio. Dopo la rifondazione, questa città si sarebbe molto accresciuta, sia per la fertilità del terreno circostante; (valle della Noce, Piana, Cava, Matteo, Olivia ecc.), sia per la pace che seppe instaurare con i suoi vicini. Caulonia e le altre città attorno ad essa ' prosperarono fino al 186 a.C. fino a quando vennero distrutte per essersi alleate con i Cartaginesi durante la prima guerra Punica, ad opera dei Romani. L'antichità di Pietraperzia è testimoniata in modo certo dai vari insediamenti (Siculi, Sicani, Greci, Romani) che si sono trovati in vari luoghi dell'abitato. Tesi sull'antichità storica di Pietraperzia ce ne sono tante, in particolare sul nome, ma nessuna è avvalorata da documenti. La località viene citata per la prima volta da Michele Amari col nome tradotto dall'arabo "Agaral Matqub" cioè, pietra perciata. Il toponimo Pietraperzia risale quindi all' 865, quando i Musulmani l'occuparono, ricostruirono il "forte" e lo tennero fino all'arrivo dei Normanni nel 1087. Dopo la conquista della Sicilia da parte dei Normanni, il Gran Conte Ruggero, per i servigi resigli da Abbone Barrese, gli donò il castello e la terra di Pietraperzia, cioè la "civitas", il territorio, su cui sorgeva il centro abitato. Il centro della "terra" era il castello, che accoglieva gli organi amministrativi ed il governo di vigilanza e di difesa del luogo. Intanto la Sicilia era stata sottomessa definitivamente dal Normanni a partire dal 1091. La fede cristiana prese il sopravvento su quella musulmana e si ritornò alle antiche consuetudini, precedenti l'invasione saracena. Tradizione vuole che in quel periodo sia stata ritrovata da un muto trapanese, nella contrada Ronze di Pietraperzia, l'immagine murale della Madonna della Cava. Per tal motivo il muto ricevette il dono della favella. La Madonna della Cava è la patrona principale di Pietraperzia e si festeggia il 14 e 15 Agosto (una tradizione consimile si trova a Boston dove l'hanno esportata gli immigrati). Il compatrono è San Rocco, (festa del 16 Agosto) la cui devozione fu introdotta molto probabilmente dai principi Brancifortin originari di Piacenza, dove il santo francese visse un certo periodo di tempo per curare gli appestati. I Barresi tennero il feudo e il paese per tutto il periodo feudale. Epoca aurea per Pietraperzia si può considerare il secolo sedicesimo quando i Barresi da semplici signori (baroni) di Pietraperzia (e Militello) assursero prima alla dignità di marchesi con Matteo III Barresi, il fondatore di Barrafranca (1529), e poi di principi con Pietro Barresi (1564). Il castello di Pietraperzia diventò una piccola corte rinascimentale dove si coltivava l'arte, la scienza e la politica. Pietro Barresi fu infatti un esperto di astronomia, matematica e arti militari distinguendosi nella lotta contro i Turchi culminata nella vittoria di Lepanto (1571). La sorella, Dorotea Barresi, fu viceregina di Napoli avendo sposato in terze nozze il vicerè di Napoli, Giovanni Zunica. Il papa del tempo, Gregorio XIII, ammirò le sue considerevoli qualità intellettuali e morali e, su sua richiesta, concesse un'indulgenza plenaria a favore delle anime per le quali si celebrava una messa di suffragio nella Chiesa Madre di Pietraperzia. Essendo pervenuta alla corte di Spagna la fama delle virtù di Dorotea, la principessa fu scelta dal re Filippo II come aia del figlio, il futuro Filippo III. Con Pietro e Dorotea si estinse la dinastia dei Barresi come signori di Pietraperzia. Ad essa subentrò quella dei Branciforti. Il primo marito di Dorotea era stato, infatti, Giovanni Branciforte, conte di Mazzarino, da cui era nato Fabrizio. La nuova dinastia, nonostante i legami col paese a partire dalla prima metà del diciassettesimo secolo preferì affidare la gestione territoriale di Pietraperzia ad un governatore che faceva le veci del principe assente. Il prestigio fino ad allora goduto dal paese non potè mantenersi inalterato. Ci fu un lento decadimento culturale che solo la presenza dei diversi ordini religiosi (Domenicani, frati Minori Francescani, Agostiniani, Carmelitani, Terz'Ordine Francescano), oltre che dei sacerdoti diocesani, riuscì in qualche modo a tamponare e superare, Ne è prova il folto numero di ecclesiastici di elevata cultura che sono citati da Fra'Dionigi e da Michele Pezzangora. Grave fu, invece la crisi sociale che investì Pietraperzia. Essa ebbe il suo tragico sbocco nella costituzione di una banda armata da parte di Antonino Di Blasi, inteso Testalonga, il quale creò, in poco più di due anni di banditismo (1765-1767), un'esteso clima di terrore in tutta la Sicilia di cui tratteremo più avanti L'abolizione della feudalità baronale, varata nel 1812 dal parlamento siciliano, fece decadere il mero e misto imperio dei signori feudali su persone e cose. Pietraperzia, che fino a quel momento, era rimasta in balìa di governatori non sempre scrupolosi e retti, divenne così libero municipio. Il castello rimase, però, proprietà dei Branciforti. Intanto il re Ferdinando IV di Borbone dopo il Congresso di Vienna del 1815, ritornato sul trono di Napoli e dimèntico degli impegni assunti nei confronti dei siciliani, sciolse il Parlamento di Sicilia, designò se stesso quale re delle Due Sicilie col nome di Ferdinando I. Una voglia di ribellione serpeggiò tra i patrioti isolanì con vaste adesioni al movimento della Carboneria che divenne elemento essenziale di lotta contro la dominazione borbonica. Lo storico Valentino Labate ("Un decennio di carboneria in Sicilia 1821-1831") scrive: "La cognizione della Carboneria si ebbe la prima volta qui in Caltagirone ed in Pietraperzia per mezzo del sac. don Luigi Oddo, allorchè nel 1815 da Calabria passò in Sicilia". Questo prete di Pietraperzia, autore di quattro grossi volumi di matematica, visse traumaticamente l'esperinza politica carbonara, che lo vide prima promotore dei movimento e poi accusato dagli stessi compagni di lotta come spia del movimento stesso a favore dei Borboni. Condannato dal governo ed espulso dal regno si rifugiò in Francia. Durante il moto rivoluzionario che investì la Sicilia nel 1848-49 anche Pietraperzia ebbe il suo ruolo. L'attività insurrezionale venne appoggiata dai notabili del paese anche con cospicue offerte di denaro come ci fa sapere lo scrittore villalbese Mulè Bertolo. Nel 1860, durante la liberazione della Sicilia da parte delle truppe garibaldine, il paese non restò indenne dalle reazioni di violenza dell'esercito borbonico al comando del generale Afan De Rivera. 1 soldati, passando per Pietraperzia e ritenendo grave affronto contro di loro la bandiera tricolore inalberata sulla torre del Castello, trucidarono cittadini inermi a colpi di fucile. Gli atti ufficiali dicono che i morti ammazzati furono quattro, mentre altre fonti ritengono che furono molti di più. Due anni dopo (1862) le forze progressiste pietrine costituirono una sezione della "Società Unitaria" di ispirazione garibaldina che aveva la sua sede centrale a Palermo e che da lì a poco assunse il nome di "Associazione Emancipatrice". Essa aveva come scopo di appoggiare economicamente e con l'invìo di volontari le iniziative garibaldine di liberare i territori di Roma e Venezia, che ancora non facevano parte dell'Italia. A tal proposito promossero la venuta di Garibaldi a Pietraperzia; cosa che avvenne nell'agosto del '62. L'Unità d'Italia non costituì la sperata soluzione dei problemi economici e sociali del popolo siciliano. Allarmante campanello dall'allarme fu l'esproprio forzato dei beni ecclesiastici di tutti gli ordini religiosi che, per tal motivo, dovettero allontanarsi dalle loro sedi. Le proprietà ecclesiali, invece di venir divise tra le classi meno abbienti, furono comprate dai possidenti locali sottendendo così il fine per cui era avvenuto l'esproprio. La rivolta palermitana del 1866, repressa con mano dura, dimostrò quanto vana fosse stata l'illusione di miglioramenti sociali. Lo Stato Italiano appariva agli occhi del popolo siciliano come un potere coloniale. La mancanza di quadri dirigenti locali preparati e l'immissione di personale del Nord in posti di responsabilità, usati spesso come mezzo di arricchimento, agevolavano tale convinzione. Intanto leggi esose e amministratori poco avveduti prepararono la rivolta dei Fasci dei Lavoratori di ispirazione socialista. Un notevole contributo di morti diede Pietraperzia nel periodo in cui avvennero le sollevazioni più gravi. Il 1° Gennaio 1894 il popolo, non sopportando più i dazi cui erano sottoposti i prodotti dei campi, dopo le parole infuocate di un sacerdote nella Chiesa Madre, si diresse con veemenza verso la Piazza Centrale. Qui il nucleo di polizia sparò sulla folla uccidendo otto persone. La repressione statale successiva alienò completamente l'animo dei poveri verso la visione di un'Italia unita e libera. I bisogni spinsero molti ad abbandonare i loro paesi di origine e ad emigrare verso le Americhe, in particolare verso gli Stati Uniti. Il rientro di alcuni emigrati dagli Stati Uniti con idee nuove di gangsterismo americano e il malcontento degli ex combattenti della guerra del 1915-1918 (parecchie furono le vittime pietrine della prima guerra mondiale), rimasti disoccupati, gonfiarono i rischi di uno sviluppo mafioso che di fatto avvenne, anche per l'assenza colpevole dello Stato in questi territori di nessuno, dove l'unica legge era quella della mafia al servizio del signorotto, del quale essa difendeva persone e cose. La guerra di mafia, scoppiata a Pietraperzia tra criccherivali ("li chènchi di li malantrìni") agli inizi degli anni 1920, provocò la morte di decine di persone. Con l'avvento del fascismo e l'intervento del prefetto Mori, la mafia venne ridimensionata.

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Ma che Robin Hood d'Egitto, Testalonga era un mascalzone

Ne "Il bandito Testalonga storia e leggenda", Giuseppe Di Natale ripropone all'attenzíone la centralità della questione criminale nello studio della Sicilia .

Nel 1882 più di cento anni dopo la fine di Testalonga, Filippo Turati in uno scritto dal titolo, "Il delitto e la questione sociale", sosteneva la tesi che il vero primato, la vera supremazia internazionale, scaturiva dall'unità e dall'indipendenza nazionale, si reggeva sul tasso di criminalità, il più alto di quello europeo e concentrato nel Mezzogiorno. Nello stesso anno da parte conservatrice si conveniva nell'affermare che "l'Italia è corrotta dalla terribile infermità del delitto in genere" (Pasquale Turiello, Governo e governati). Ma già dieci anni prima era stato pubblicato un libro, "L'uomo delinquente", di Cesare Lombroso che dopo la prima edizione andò letteralmente a ruba. I delinquenti di Lombroso erano diffusi in tutta Italia, ma particolarmente al Sud, e particolarissimamente in Sicilia. Le statistiche davano un delinquente, per reati contro le persone, su 5.179 abitanti del Nord, 1 su 2.129 al Centro, 1su 849 al Mezzogiorno, 1 su 839 nelle isole. La causa di queste sproporzioni: "la temperatura calda che eccita il genio, il delitto le rivoluzioni le rivolte". Al clima faceva buona compagnia la razza: "Agli elementi africani ed orientali si deve fondamentalmente la maggiore frequenza di omicidi in Calabria, in Sicilia, in Sardegna". Indipendentemente delle teorie organicistiche e razziste della scuola positiva di fine ottocento, l'intuizione di Turati secondo cui la questione sociale in Italia e nel Mezzogiorno si configurava come questione criminale, ha dalla sua la forza delle statistiche a supporto della intelligenza del "genio" della storia dell'Italia. E ben a ragione John Davis vi ha scritto sopra un libro, "Legge e ordine" (Franco Angeli, Milano 1989) che purtroppo non ha avuto un'accoglienza ben adeguata. Il saggio, "Il bandito Testalonga, Storia e leggenda", Editrice Il Lunario Enna 1993, che l'archivista ennese Giuseppe Di Natale, nativo di Pietraperzia, ha consacrato al bandito pietrino Testalonga (Antonino di Blasi, 1728-1767) riveste una duplice importanza: l)riproporre all'attenzione la centralità della questione criminale nello studio della Sicilia, 2) sfatare l'irresponsabile leggenda attorno al banditismo siciliano come fenomeno di insubordinazione di classe e, poi, antistatuale, secondo quanto proposto dallo storiografo inglese Eric J. Hobsbawm in un vecchio saggio del 1969,"I banditi". Dal libro di Di Natale che ha effettuato ricerche negli archivi di Stato di Palermo e di Enna, che ha utilizzato le carte della famiglia Trabia, che ha spulciato registri parrocchiali e notarili, viene fuori - dal caso dei singolo brigante settecentesco - una persistenza strutturale del banditismo siciliano, un uso istituzionale della delinquenza a fini di potere che lungi dal collocarsi all'interno di opzioni giustizialiste è esso stesso struttura di ingiustizia e perno dei comando signorile. Quanto sia centrale, anzi strutturale il banditismo nell' Europa mediterranea fu convinzione di uno degli storici più geniali di questo secolo, Fernand Braudel: "Il banditismo è un vecchio aspetto dei costumi mediterranei. Le sue origini si perdono nella notte dei tempi. Il banditismo è una rivincita contro gli stati costituiti, difensori dell'ordine politico e anche dell'ordine sociale. Marca speciale, inondazione secondo uno storico del secolo XVIII, convoglia in sé le acque più diverse... E' jacquerie latente, figlio della miseria (in Sicilia il banditismo aumenta dopo la peste del 1578) e della sovrappopolazione; è la ripresa di vecchie tradizioni, e molto spesso anche, brigantaggio vero e proprio, feroce avventura dell'uomo contro l'uomo". Quella di Testalonga fu un'avventura feroce contro altri uomini. Avvolgere e mistificare di una spessa nuvola di simpatia il bandito nella leggenda dei romanzi orali o scritti, è un vezzo arcaico diffuso in tutte le latitudini, forse in tutte le culture. Testalonga viene ricordato come Robin Hood siciliano. Nel libro di Di Natale sono riportati tutti i passi di quegli autori che ne fecero un mito giustiziere. Quali contingenze trasformarono un contadino povero in brigante che mozzava le orecchie e il naso alle sue vittime, che si diede alla macchia vivendo di estorsioni; di furti di mandrie, coperto dai notabili del luogo? Antonio Di Blasi nacque nel 1728 e fu giustiziato nel 1767. Branciforti di Trabia (un Trabia sarà il comandante che scoverà e farà uccidere il bandito) raddoppiò la sua popolazione agli albori dei Settecento passando dai 2.250 del 1653 ai 5.3 10 abitanti nel 1714, 5.500 nel 1737, 6.903 1747 nonostante l'infezione epidemica del 1743 che fa molti morti nel Vai di Noto, e 8.298 nel 1798. Tra la nascita e la morte di Di Blasi si registrò un grande aumento del tasso demografico in una comunità povera, il cui terreno era granicolo, e la cui produzione si portava innanzitutto ai caricatori, per l'esportazione. Per tutta la metà del 1700 la Sicilia subisce il trend europeo della recessione economica, con fortissimi aumenti del prezzo dei grano, il cui raccolto in diverse annate fu scarso. Il contrabbando delle derrate era pratica diffusa e tollerata, anzi, alimentata dallo stesso vicerè Fogliani, che, esso stesso esportatore di grani, accondiscendeva eccessivamente nel concedere le tratte e producendo il rincaro del prezzo del grano, cardine della dieta alimentare povera della società d'ancien regime. In questi anni Cinquanta ha inizio il mestiere di bandito per Testalonga che trovava nel territorio una vocazione collaudata per chi non riusciva a tenere testa alla depressione economica che falcidiava le remunerazioni del lavoro nei campi di chi andava a giornata. Il frumento pietraperzese era di ottima qualità: frumento di collina, duro, di qualità asciutta. Poteva essere nascosto senza tante precauzioni e si prestava ai lunghi viaggi di esportazione dal caricatoio di Santa Lucia del Mela. I prezzi del grano a Pietraperzia nel Settecento furono mediamente più alti di quelli dei caricatori, crebbero più rapidamente, subirono rapidamente e con forti sbalzi gli effetti della crisi di produzione. In tale contesto, la ferocia sembrò al Di Blasi la scorciatoia per l'ascesa sociale, per il paese di Cuccagna. Fu impiccato, dopo essere stato tradito. Gli fu poi spiccata la testa. Non gli diedero il tempo di confessare in un pubblico giudizio i nomi dei suoi protettori. Il Trabia comunque li conosceva tuttì Buttò via l'acqua sporca e salvò il bambino. Quel bambino che cresciuto si è fatta mafia, potere criminale di Stato.

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Chiese,monumenti e luoghi storici

Anche se in non perfette condizioni di conservazione Pietraperzia offre numerosi beni monumentali.

LA MATRICE

E' una delle più vaste chiese della diocesi di Piazza Armerina; essa sorge sulla stessa arca dove sorgeva la chiesa normanna e che Matteo Baresì, marchese di Pietraperzia fece abbattere nel 1530, per riedificarne un'altra; quella attuale incorporò la costruzione esistente e venne iniziata nel 1712 e la decorazione fu compiuta nel 1842, ma la costruzione non fu mai portata a termine, infatti mancano due campanili ed il porticato. La matrice di Pietraperzia è concepita secondo lo stile tradizionale della basilica cristiana: navata centrale. E levata con propria fonte di luce, accompagnata da due navate laterali, più basse e più oscure e cupola nel transetto di stile bizantino. La chiesa è a croce latina non sporgente e le sue tre navate sono a botte, poggianti su pilastri con cappelle laterali. Progettista della Matrice fu don Pietro Trombetta, architetto provinciale di Caltanissetta, che ne eseguì il modello in legno. La navata centrale della Matrice è di bello e grandioso effetto per il colonnato, gli ornati in stucco della volta, le finestre ed i suoi cornicioni. li soffitto è a botte ed è arricchito di cassettoni in stucco con rosoni e fogliami, opera degli stuccatori Giuseppe Gianforme di Catania ed Antonio Dell'Orto di Palermo, che li eseguirono su disegno dell'architetto Lo Piano di Caltanissetta. Bellissime sono le tele che si possono ammirare, e troneggia dietro l'altare maggiore la pala dell'incoronazione della Madonna, opera del Paladino. In questa pala la Madonna è collocata al centro della tela ed è attorniata da angeli ed altri santi; ella sta in delicato atteggiamento con il Bambino posato sulle ginocchia, mentre due paffuti angioletti le sorreggono una corona sul capo; più in alto sta il Padreterno che accoglie la Madonna ed il Divin Figliolo; ai due lati della Madonna stanno a fare corona, gruppi di angeli che suonano delicati strumenti in suo onore; più in basso sul lato destro si notano le figure di Sant'Agata e Santa Lucia, di intense bellezze ed espressività;a sinistra stanno San Pietro e San Paolo come in estasi a contemplare la divina maestà di Gesù e della Madonna. Nella navata di sinistra vi è collocato un elegantissimo sarcofago in marino egizio, di forma ovale posto sul dorso di leoni. Il sarcofago racchiude le spoglie mortali di Dorotea Barresi, che fu vice regina di Napoli. Tra la porta centrale e quelle laterali sono situati altri due sarcofaghi: uno raccoglie le spoglie di Pietro Barresi di Pietraperzia, l'altro le spoglie della moglie Laura Barresi. Nella sacrestia si possono ammirare alcuni resti architettonici della precedente parrocchia, costruita in stile romanico del XII secolo. Sotto la Matrice nella parte destra vi è la Caterva, che in origine era la cripta della vecchia parrocchia: il nome, lo stile richiamano il periodo greco-bizantino. Vi si ammira un prezioso Crocifisso di stile greco, oggetto di venerazione di tutto il paese. Le pareti sono adornati di pregevoli stucchi con tocchi. d'oro zecchino. Attualmente la Matrice si conserva in uno stato fatiscente. Monumenti e luoghi storici: SANTUARIO M. DELLA CAVA: L'origine storica del Santuario Maria Santissima della Cava è collegata alla Santa Immagine, che ivi è venerata. L'immagine fu ritrovata prima del 1223 da un muto trapanese,che, recatosi nelle vicinanze di Pietraperzia, scavò e trovò la Santa Effigie, ed immediatamente ottenne la parola; la contrada "Runzi", da allora fu chiamata "Maria Santissima della Cava". La sacra immagine fu collocata dentro la chiesa e fu incorporata nel muro frontale; la chiesa con l'immagine miracolosa è divenuta meta di continui pellegrinaggi; in modo particolare nel mese di maggio ogni giorno la gente a piedi fa i viaggi alla Madonna, per la dovizia di grazie ottenute. La chiesa nella situazione attuale, fu costruita alla fine del 1600 ad opera di persone facoltose e con le offerte dei fedeli è stata rimessa a nuovo. Sull'altare troneggia l'immagine della Madonna, consistente in un muro di pietre in cui è dipinta Maria Santissima della Cava, nell'atto di allattare il Bambino Gesù, che mostra di essere sazio e di rimirare qualcuno per ascoltare le suppliche: la madre ed il figlio sono nell'atto di benedire. La Madonna è collocata su un trono artisticamente intagliato, in legno cipresso e dorato con oro zecchino, opera di antichi artisti. Di rilievo artistico si ha un piedistallo in alabastro con sculture del Gagini, mentre gli stucchi appartengono al Fantauzzo. Fin dall'epoca dei ritrovamento, grande è stata la devozione del popolo pietrino che la scelse come Patrona. La festa principale è celebrata la sera del 14 agosto; a mezzanotte il vescovo della diocesi celebra una messa solenne e subito dopo impartisce la benedizione alle macchine. Di notevole importanza e fascino sono i "Sabati" del mese di maggio, che sono dei pellegrinaggi che vengono organizzati in maniera sfarzosa da camionisti, trattoristi e da carrettieri, che vengono da varie parti della Sicilia e che ostentano i loro carri, veri capolavori di arte siciliana. CHIESA DI S. ROCCO: Inizialmente dedicata all'Immacolata Concezione cambiò nome quando, nel 1635, non è certo se dal Principe Fabrizio o da Francesco Branciforti, venne onorata ed arricchita delle Sacre Reliquie di S. Rocco che divenne Patrono della città, La chiesa segnava il limite del territorio posseduto dai Padri Fracescani che, allora, ne avevano la cura essendo rettori della Chiesa. All'interno di essa troviamo delle splendide sculture lignee quali, quelle di S. Sebastíano e dell'Immacolata, di fattura tardo medievale. Recentemente la chiesa è stata ristrutturata cambiando completamente quello che era l'aspetto iniziale. La facciata è stata eseguita da uno scalpellino locale di nome Matteo Di Natale, lo stile è neoclassico, un pò eclettico. CHIESA DEL ROSARIO: E' a croce greca; la costruzione risale ad un periodo anteriore il 1500. Fu dapprima dedicata alla Madonna Annunziata ed è tra le più antiche chiese di Pietraperzia. Nel 1500 Matteo Barresi fece costruire accanto ad essa il Convento di S. Domenico ed invitò i Padri Domenicani a trasferirvisi. Quest'ultimi durante la loro permanenza, fecero eseguire una bella statua alla Madonna del Rosario e la collocarono dietro l'altare maggiore, dentro ad una nicchia. La devozione per questa chiesa fu particolare per alcune famiglie tant'è vero che vi è sepolta una nobil donna, Leandra Santangelo, sposa del Barone Don Girolamo Miccichè. CHIESA DI S. GIUSEPPE: Probabilmente è stata eretta intorno al 1245 e parecchie volte è stata ristrutturata. Un primo altare è dedicato alla Madonna della Mercede, di cui ancora ne esiste ed è in buone condizioni, il quadro. Il secondo altare è dedicato a S. Isidoro, protettore degli animali e fu donato dal Barone Giarrizzo (esiste ancora la statua di bella fattura). Il 19 marzo di ogni anno si svolge la tradizionale festa di S. Giuseppe. E' una festa locale piena di folklore religioso pieno di grande effetto. Figure umane dietro un voto religioso rappresentano S. Giuseppe, la Madonna, il Bambino e l'Angelo; a questi personaggi si aggiungono altri tre personaggi fissi, che rappresentano tre guardie di Erode. Nello spiazzo della Matrice viene imbandita una tavola con pietanze tipiche, del giorno che vengono portate dal popolo per voto religioso. Dalla Chiesa S. Maria di Gesù vengono in processione S. Giuseppe, la Madonna sopra l'asinello con il bambino e l'Angelo, accompagnati dalla musica e dal popolo; arrivati nello spiazzo della Matrice vengono fermati dalla guardia di Erode e qui segue una disputa fra i soldati e l'Angelo che difende la Sacra Famiglia; la disputa si conclude con la conversione delle guardie che onorano la Sacra Famiglia e la lasciano passare. Subito dopo segue la benedizione da parte del Bambino alla tavola; momento particolare della festa sia come folklore che come significato mistico "perché in questo viene simboleggiata la benedizione da parte di Dio per il cibo che dà al popolo fedele". La sera vengono portati in processione la statua di S. Giuseppe e il Bambino. La festa è interamente organizzata dalla commissione dei falegnami. CHIESA DEL CARMINE: Una chiesa Mariana di antichissima origine nel paese di Pietraperzia è la Chiesa del Carmine; tale nome è stato imposto dal popolo pietrino perché essa era stata affidata ai religiosi carmelitani e anche perchè vi si celebra, il mercoledì di ogni settimana, con grande solennità un culto speciale alla Vergine Maria del Carmelo. La vera denominazione della chiesa era, però,"di Maria SS. del Soccorso(o dell'Aggiunto, che significa aiuto). La processione con la statua di Maria SS. dei Soccorsosi faceva a Pietraperzia l' 8 di settembre. L'altare a Lei dedicato, sovrastato da un grande quadro raffigurante la Madonna del Soccorso, è il più sontuoso tra quelli trovantesi in chiesa. In grande considerazione è pure tenuto l'altare del SS. Crocefisso, la cui devozione presso il popolo pietrino è antichissima e viene portata in processione nei giorni di Paresceve (Settimana Santa). L'altare maggiore è consacrato alla Vergine del Carmine da quando la chiesa fu affidata ai Padri Carmelitani che dimorarono nell'attiguo convento probabilmente fino al 1667, anno in cui vennero aboliti diversi conventini. Si sa che nel 1701 Sua Santità Clemente M concesse alla Chiesa del Carmine di Pietraperzia l'altare privilegiato. Nello stesso anno Papa Clemente XI ad ogni fedele che avesse visitato la Chiesa del Carmine dai primi Vespri fino ai secondi Vespri del 16 luglio concesse l'indulgenza plenaria. Nel 1705 la chiesa passò al Terz'ordine di S. Francesco. Nella Chiesa del Carmine sono sepolte due terziarie francescane: Suor Filippa Peri, morta il 18 Maggio 1763 e posta in una fossa alla sinistra dell'altare di S. Silvestro Papa e Suor Caterina Blandini morta il 15 Aprile del 1775. EDIFICI CIVILI: Interessanti anche gli edifici civili, tra i quali il Palazzo della Principessa Deliella il cui progetto pare da attribuire al maggiore architetto del liberty palermitano Ernesto Basile. In stile neoclassico con rilievi in pietra arenaria rossa con balconi retti da mensoloni scolpiti con motivi antropornorfi. Il Palazzo del Governatore che nonostante i rimaneggiamenti ed il degrado in cui si trova, conserva una bella balconata in stile tardo Rinascimentale. Il Palazzo Barone Tortorici, in stile falso gotico, anch'esso progettato dal Basile, presenta forme archittetoniche di grande interesse scenografico. Una armoniosa architettura ottocentesca offre anche il Palazzo Bonaffini noto anche come "La caserma vecchia". L'ex convento dei Domenicani, oggi sede del Municipio, di origine seicento, dopo l'esproprio dei beni ecclesiastici divenne il Casinò dei Galantuomini luogo strettamente riservato ai rappresentanti della nobiltà terriera locale e come tale dato alle fiamme durante la Rivolta dei Fasci.

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Pietraperzia oggi, problemi e prospettive

Agricoltura marginale e occupazione le principali emergenze

I comune di Pietraperzia si estende per 117 chilometri quadrati, nel nucleo centrale dell'Isola. Di natura collinare - 643 metri altitudine massima, 169 metri altitudine minima - il territorio comunale è attraversato da alcuni corsi d'acqua, fra cui il fiume Salso; esso risulta utilizzato per il 40% a colture estensive, per il 30% a colture intensive, per il 20% a pascolo e per il 5% a bosco. Il comune è classificato zona agricola svantaggiata dalla CEE La popolazione è praticamente rimasta su valori stazionari nel decennio 1971 - '81 (-0,9%), mentre ha subito un discreto aumento nel triennio 1981 '84 (4,6%), e un decremento nel decennio successivo 1981-'91 (8.015 abitanti). La situazione produttiva e occupazionale, nonostante i progressi degli ultimi decenni (nel periodo 1947 - 60 il fenomeno rnigratorio ha interessato circa il 40% della popolazione) è ancora grave con circa 1900 disoccupati su poco più di 8000 abitanti. L'emigrazione, soprattutto quella del secondo dopoguerra, diede un certo avvio alla rinascita sociale attraverso le rimesse di denaro e i piccoli investimenti in campo edilizio. Quasi inesistente la piccola industria, poche le attività artigianali, la struttura produttiva è quasi interamente agricola, caratterizzata da aziende con bassi gradi di intensità fondiaria e di esercizio, tipica delle zone interne. L'indirizzo prevalente è costituito dal seminativo, mentre l'arboricoltura (mandorlo e olivo) interessa solo il 16% del territorio. Poco rappresentata la vite la cui coltura non ha rilevanza economica coprendo solo il fabbisogno dell'auto consumo dei produttori. L'allevamento bovino è poco sviluppato, mentre ha una certa rilevanza l'allevamento ovino associato con quello caprino con un indirizzo produttivo prevalente di tipo latteo, con la lavorazione, in azienda di formaggio e ricotta. (di buona qualità artigianale). Il principale prodotto è rappresentato dal grano duro per il quale nell'ultimo decennio è cambiata radicalmente la forma di cormercializzazione. Attualmente la commercializzazione avviene attraverso consorzi a seguito di alcuni provvedimenti legislativi regionali che hanno istituito l'ammasso volontario del prodotto con contributo agli agricoltori per quintali di prodotto ammassato e con contribuzione nelle spese di gestione per gli enti ammassatori. La commercializzazione degli altri prodotti agricoli del Comprensorio, olio, mandorle e ortaggi avviene attraverso la vendita diretta da parte del produttore. Per quanto riguarda i prodotti dell'allevamento, i canali si differenziano per prodotti: la carne viene venduta direttamente ai macellai; il latte trasformato in formaggio e ricotta in azienda è venduto a dettaglio e ai commercianti. Sono quasi scomparse quelle forme artigianali ricche di cultura e tradizione, mentre sono in espansione quelle di servizio. L'industria estrattiva specie quella solfifera che in passato era in grado di fornire occupazione è oggi notevolmente ridimensionata (gli addetti infatti rappresentano circa il 2% della popolazione attiva). La ricchezza paesaggistica e monumentale, l'archeologia, il clima, la presenza di un certo numero di strutture e servizi rendono possibile programmare una politica di sviluppo rivolta a quella non trascurabile corrente turistica di scoperta di luoghi e cultura rurali. Tutto ciò passa ovviamente attraverso l'organizzazione di adeguate forme ricettive e dalla pubblicizzazione di una possibile offerta. Facendo leva sulla necessità del recupero del suo patrimonio culturale, si può progettare un possibile coordinamento di interventi globali sul territorio che offrano la possibilità di costruire un'offerta turistica qualificata in grado di dare un reddito agli operatori.

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In giro per Pietraperzia

La Pasqua con la ricchezza delle sue manifestazioni è un'importante occasione per una visíta al paese.

Una cittadina dall'apparenza quieta, con strade in gran parte regolari, ben tenute; case talvolta modeste ma dignitose fra le quali si notano emergenze architettoniche notevoli e di vario stile costituite da manufatti sia civili che religiosi; qualche piazza e qualche slargo particolarmente rappresentativi. L'assetto generale è nell'insieme piuttosto gradevole e non mancano spunti di interesse vario. Pietraperzia non ha una vera e propria suddivisione in quartieri, per quanto sia ancora sentito un certo campanilismo fra parrocchie. La parte più antica è costituita dal quartiere sotto al Castello che ancora risente, nell'impianto urbanistico, dei modi arabi e medievali mentre, per il resto, le direttrici che informano l'attuale impianto si sono sviluppate fra il '300 ed il '500. La "giacitura" del Paese ha imposto l'uso di scale e strade ripide caratteristiche, ora pavimentate con basole di lava. Qua e la si possono osservare però vecchi acciottolati, specie verso Piazza Terruccia o nei pressi del vecchio Municipio. L'ampio C.so Vittorio Emanuele svolge la funzione di piazza centrale nella quale si svolgono buona parte dei rapporti sociali. Qui si trovano numerosissimi bar dove sin dal primo mattino si riuniscono a discutere o a giocare a carte gli amici, soprattutto anziani ma anche giovani in attesa di lavoro. I visitatori a Pietraperzia hanno la possibilità di gustare ottimi piatti tipici presso le trattorie locali. Nel periodo pasquale abbonda l'offerta dei tradizionali dolci siciliani alla ricotta, Alcune pasticcerie locali preparano li "cassateddi" il ''Pan di Spagna" la "Palummedda" (colomba pasquale casereccia), la "Pignuccata" e "L'armisanti" (le anime sante).

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Numerose le testimonianze archeologíche nel territorio

Sorprendentemente notevoli i resti archeologici, soprattutto pre-ellenici, che si riscontrano nel territorio e sui quali è stato pubblicato un attento saggio da parte del Nicoletti e del Lalomia. La posizione strategica di Pietraperzia e di talune sue contrade (Rocche Tornabè, Arciera, etc.) dalle qualì si controlla la più antica via di penetrazione verso la Sicilia centrale: la Valle del Salso (fondamentali a tal proposito gli studi dell'Orlandini), ha fatto sì che la zona fosse contesa ed ambìta da tutte le popolazioni che si sono avvicendate in Sicilia nel corso dei millenni. Questo fiume è sempre stato di confine:fra Sicani e Siculi, fra Greci Calcidesi e Rodio-Cratesì, ha diviso la Val di Mazara della Val di Noto, ha separato le baronie medievali e fino al 1553 lo si poteva solo guardare (Ponte Capodarso); perfino in lunghi periodi di stabilità politica (Impero Romano, Regno delle due Sicilie, Repubblica) non ha perso la sua funzione di limite amministrativo. I ritrovamenti ed i reperti parlano di frequentazione molto antiche e di stabili aggregati umaní fin dal Neolitico. Oggetti e frammenti appartenenti alle fascie culturali dì Stentinello, Serraferricchio e Castelluccio, materiale greco
o di imitazione greca e cocci romani sono stati raccolti su buona parte del territorio e meriterebbero una opportuna sistemazione in un antiquarium locale. I siti degli abitanti antichi erano quasi tutti in collegamento ottico fra di loro e potevano comunicarsi ogni movimento come pure controllarsi a vicenda. Potremmo costruire sulla carta un reticolo con nodi in ogni località archeologica e fili costituiti da assi ottici, che le collegavano.
Il Castello di Pietraperzia è visibile da siti lontani come Sabucina, Capodarso, Enna, Montagna di Marzo, Monte Navone, Castelvecchio, Mole di Draffu, Gibil Gabib, Monte S. Giuliano, il Castello di Pietrarossa a Caltanissetta. Singolare il rapporto fra il Castello di Pietraperzia e quello di Pietrarossa: essi sì fronteggiano da sempre simmetricamente sui due lati del Salso così come Capodarso e Sabucina si fronteggiarono sulla gola più stretta di tale fiume in tempi più remoti. Nell'insieme si tratta di un territorio assai interessante, lo studio del quale è di fondamentale importanza per la comprensione della storia più antica della Sicilia centrale.

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Le leggi dei Carafa

Il principe di Pietraperzia Don Carlo Maria Carafa, figlio di Fabrizio principe di Roccella sposò Donna Isabella d'Avalos, figlia dei marchese di Vasto e Pescara, non ebbe figli. Il principe s'era dedicato allo studio dell'astronomia e delle matematiche, della filosofia ecc. edera stato investito del principato di Butera il 4 aprile 1676. Nei tumulti antispagnoli di Messina del 1676, arruolò a sue spese un reggimento di 500 uomini tra i suoi vassallí, lo pose sotto il comando di Don Giuseppe d'Aragona. Fu capo del Parlamento Generale e di tutte le forze militati in Sicilia. Per mettere ordine in tutti i suoi "stati", nel 1686 emanò delle leggi, dette "Pandette o Costituzioni", alle quali tutti i suoi sudditi dovevano sottostare. L'opuscolo indica "il modo retto di come amministrare ai Capitani le sue città e terre del suo immenso principato ". Abbiamo trovato interessante riportarne qualcuno che ci offre uno scorcio della Sicilia del periodo della Controriforma e dell'Inquisizione. All'articolo I rivolgendosi ai medici chirurghi è detto: Il medico "che andrà a medicare l'infermo primariamente ricordarli, che s'habbia da confessare: e passati tre giorni dopo la prima visita se non
l'haveranno confessato, non l'habbiano più a visitare, ne ordinarci medicamenti, sotto pena di non poter medicare per due mesi, oltre a pagare onze 10 ad uno luogo pio e ligendo per noi" . "Le donne che fanno
l'ufficio di reputatrici, non possono andare nelle case, dove si ritroverà morta alcuna persona per fare detto ufficio, sotto pena di Onze 10 da applicarsi al fisco quali debbano pagare gli habbitatori di quella casa,
dove sifanno dette cose". "Nelle case di defunti, dopo tre giorni della morte, passando il Santissimo Sacramento, Processione, ò facendò altra festa, non si facciano píanti con grida, sottopena d'onze 10. Nessuna donna possa andare alle Chiese, e sepulture, per piangere morti, sotto pena di onze 4, e non potendo questa pagare per causa di povertà, chi controverrà sia fustigata. Qualsivoglia persona, che si ritroverà à cavallo, e per strada, s'incontra con la processione del Santissimo Sacramento, debba scavalcare, e con ogni riverenza inginocchiarsi, sottopena d'onze 4. Li Maestri di schola siano obbligati d'insegnare li loro scolari la Dottrina Cristiana, sotto pena d'onze 4. Incorrono nella stessa pena li Padri, che manderanno li figli alla schola senza farci imparare la Dottrina Cristiana. Nella Domenica, e giorni di feste comandate nessuno bottegaro possa tenere la bottega aperta ne vendere cosa alcuna, e non che le cose commestibili, o medicine, e in tal caso possa tenere solamente aperta mezza porta, putiulu sotto pena d'onze I. Li tavirnari non possono aprire le taverne prima che sia celebrato la Messa Grande, sotto pena d'onze 4. Tutte quelle persone che faranno santo il nome del demonio, bestemmiassero in qualsivoglia maniera, incorrano nella pena, cioè le persone honorate a basso da stare per un'hora col boccaglio, e dall'honorate sopra, carcerate per un mese ".
Tratto da "Guida ai monumenti ed ai luoghi storici di Pietraperzia " di LGuarnaccia - Sac. S. Viola

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Il Castello Barresi

Le origini del castello di Pietraperzia si fanno in genere risalire al periodo della dominazione araba. In epoca normanna, però, come d'altronde avvenne per molti altri luoghi forti dell'Isola, la torre diventò una fortezza vera e propria intorno a cui si formò consistente anche un primo nucleo del paese, quello del quartiere "Terruccia ". Castello e "terra" di Pietraperzia rimasero demaniali anche'sotto i Normanni e gli Svevi, nonostante il fatto che uno storico locale,frate Dionigi, vissuto nel XVIII secolo, sostenga che nel 1200 Federico II abbia concesso ad Abbo Barresi questa baronia per i suoi meriti. Certo è che nella prima metà del XIII la fortezza subì un'altra massiccia ristrutturazione ma fu solo nel primo periodo della dominazione aragonese, intorno al 1280, ch'essa fu concessa a un rappresentante della famiglia Barresi. Vito Amico sosteneva che l'origine del castello era antichissima e che ad accrescerlo e a renderlo abitabile fu, nell'anno 1520, "Matteo Barresio, primo marchese del medesimo" (Dizionario topografico della Sicilia, Palermo 1855, vol.II). Pare certo, comunque, che a Giovanni Barresi sul finire del XIII secolo, re Giacomo d Aragona abbia concesso il castello e che durante la "Guerradel Vespro" la fortezza sia stata presidiata da un corpo di cavalleria angioina e successivamente assediata e distrutta, per il rifiuto dei francesi ad arrendersi, da Manfredi Chiaramonte inviato sul posto da Federico III. Vennero abbattute, allora, la torre della parte occidentale e gran parte delle altre mura. Quando, per oscure ragioni, il barone Giovanni Barresi venne esiliato il castello e la "Terra" di Pietraperzia ritornarono alla Corona. Nel 1320, però, i feudi andarono ancora una volta a un Barresi, Abbo, che aveva sposato Ricca La Matina, dama della regina Eleonora. In questo periodo il castello venne nuovamente ristrutturato e, ingrandito, reso abitabile. Da Abbo i feudi passarono ai suoi discendenti fino a una Dorotea che sposò Giovanni Branciforte il cui figlio Fabrizio trasformò l'antica fortezza in quell'elegantissimo palazzo fortificato che è giunto intatto fino agli inizi di questo secolo. Nel Sei e Settecento il castello fu la principesca dimora dei signori che nella zona si preoccuparono di incrementare l'agricoltura e popolare le loro terre con vendite agevolate ad enfiteusi. Anche i Lanza di Trabia, che succedetero ai Branciforte, ebbero cura delle buone condizioni del castello che cominciò a rovinare solo verso la fine del secolo scorso, quando crollarono un tetto e una parte del muro perimetrale di settentrione. Il materiale con cui molte parti e decorazioni erano costruite, la malta di gesso, era d'altronde molto vulnerabile, assenti ogni cura e manutenzione, all'azione degli agenti atmosferici o del tempo, cosi come scadente era pure la qualità di qualche rifacimento fatto con una rozza tecnica costruttiva. Senza contare, naturalmente, l'opera vandalica degli uomini che negli ultimi decenni hanno scavato dappertutto rovinando strutture murarie, stucchi e affreschi. Nel 1941, poi, la grande torre che sorgeva nei pressi dell'ingresso principale del castello venne abbattuta e al suo posto fu costruito un grande serbatoio idrico. Tra il 1985 e il 1986 si è finalmente intervenuti con lavori di restauro che hanno consentito la scoperta di ambienti e mura prima nascosti permettendo una più chiara lettura dell'edificìo e impedendo il crollo di altri locali pericolanti.

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L'Habitat medievale

Dell'abitato medioevale di Pietraperzia sono rimaste notevoli testimonianze nelle mura occidentali e sulla parte meridionale rivolta ad est del castello; di tutto il resto, che si trovava dentro le mura o attorno al castello, non è rimasta alcuna testimonianza. All'infuori del castello, mancano tutti i segni di quella civiltà, come lo squallore delle case, degli abitanti, della scarsezza delle comodità e delle bellezze cittadine. "Nelle case abitavano isoli ministri del barone e le loro famiglie, mentre il popolo riparava, come bestie, in miserabili tuguri. La caratteristica dell'abitato "antico" si può riscontrare ancora nei quartieri vecchi del paese, che sono il risultato di particolari composizioni architettoniche realizzate dallo stesso marchese Don Matteo Barrese verso i primi anni del 1500". Erano case unifamiliari che sorgevano prevalentemente su lotti chiusi da tre lati con un unico prospetto ed a piano terra. A volte erano riunite dentro un unico cortile (bagliu), su cui si aprivano i vani delle abitazioni il cui accesso era dato da una porta unica (arco), che ne permetteva meglio il controllo. L'abitazione comprendeva due locali, posti al piano terra, uno per il soggiorno con l'alcova e l'altro per le bestie, posto dietro. Fu verso la metà dell '800 che la camera da letto e la cucina furono portate al primo pìano, con la scala di collegamento esterna con "tucchiena" l'astrico, addetto per caricare e scaricare le masserizie dalla soma delle bestie. A questa regolarità di "costruzioni" si contrapponeva la chiesa e qualche casa " borghese ", poste tutte su un asse portante per le manífestazioni religiose, la "via dei santi". Lungo quest'asse infatti sorgevano le case dei borghesi, le botteghe d'arte, i negozi, le farmacie ecc... La pianta più antica di Pietraperzia, che si conosca, è quella affrescata nel Palazzo Butera di Palermo dal pittore Gioacchino Martorana, verso la fine del 1798. Dato l'andamento del terreno scosceso e l'allineamento delle case antiche, nelle nuove costruzioni, si mantengono le stesse caratterìstiche. Nel dopoguerra l'edilizia è cresciuta in modo caotico e confuso senza un piano regolatore generale (strumento di cui il comune solo adesso si sta dotando pur così grande ritardo) provocando danni non indifferenti all'assetto urbano.

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Il signore delle fasce

La caratteristica manifestazione del Venerdì Santo

Il nome di "Signore delle fasce" al Crocefisso di Pietraperzia vìene dal modo in cui esso, la sera del Venerdì Santo, è portato in processione dai fedeli. La scultura del Crìsto, infatti, é posta su un'asta di cipresso alta otto metri e mezzo che viene tenuta ritta da circa duecento fasce di tela di lino bianco, lunghe 32 metri e larghe 40 centimetri, da una parte legate alla croce e dall'altra trattenute ognuna da un devoto, in modo da potere mantenere il giusto equilibrio mentre viene trasportata in giro per le strade del paese. Ed è talmente forte la devozione per questa particolare tradizione di Pietraperzia che per quel giorno nessuno usa per alcun motìvo martelli o chiodi, a ricordo dell'infausto uso fattone per la crocifissione di Cristo. La processione del "Signuri di li fasci", che viene accompagnata dall'antica confraternita "Maria Santissima del Soccorso", un'istituzione fondata dagli Agostiniani alla metà del XIV secolo, da tre bande musicali, dall'urna con il Cristo morto e dalla statua dell'Addolorata, è un unicuim in tutta la Sicilia. Un tempo la manifestazione era più ricca di cerimonie collaterali come quella di attaccare su tutto il corpo del Cristo le "scocche" di raso a forma di fiori, quasi ex voto con tanto di nome e cognome dei devotì che si contavano particolarmente numero si fra i bambini abbandonati, raccolti dalla "ruota" del Carmine e affidati alla protezione del Crocefisso. Sempre nel pomeriggío del Venerdì Santo si svolge il rito delle "Miseredde", strisce di tela che i fedeli vanno a misurare nella chiesa del Carmine sul corpo del Crocifisso, un gesto che simbolicamente sta per una pietosa appropriazione delle sofferenze e del dolore del Cristo in un giorno di tristezza.

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